Chef che decidono di mollare... le vecchie (cattive) abitudini! T.D.S.O.R. feat Igles Corelli: "La ristorazione non ha mai creduto nella sala che è molto più importante della cucina."

Antonio Labriola & Sonia Rotondolun 22 mar 2021

THE DARK SIDE OF RESTAURANTS

Le criticità legate al lavoro e nello specifico al modo della ristorazione.
In una serie di interventi, che abbiamo deciso di chiamare “tracce” come in un disco, cercheremo di analizzare temi che spesso vengono messi in secondo piano. Queste dinamiche meriterebbero la giusta attenzione per provare a migliorare un lavoro che di per sé ha, intrinseche, delle criticità che difficilmente potranno essere eliminate se non attraverso dei tavoli di discussione e una maggiore attenzione al fattore umano che manda avanti questo settore.
Dalla cucina alla sala, dalla proprietà ai clienti ecc, cercheremo di analizzare le criticità, in che modo influenzino il lavoro e quali strategie utilizzare perché si possa migliorare la vita di chi opera nel settore ristorativo.
Nello specifico, con questa rubrica andremo ad analizzare come il mondo della ristorazione sia un mondo molto stressante e cercheremo di analizzare e descrivere le strategie da mettere in atto per migliorare lo stile di vita degli addetti al settore, nonostante le criticità intrinseche in questo lavoro (orari, rinunce, rapporti interpersonali, spazi di lavoro ecc).

Chef che hanno deciso di mollare…le vecchie abitudini

Track 5 - FEAR OF THE DARK

Paura del buio,

paura del buio

Ho una paura costante che qualcosa sia sempre vicino

Paura del buio, paura del buio

Ho la fobia che qualcuno sia sempre lì

(Iron Maiden)

In questo “featuring” abbiamo intervistato lo chef Igles Corelli. Ovviamente potremmo raccontarvi moltissimo su di lui per presentarvelo, ma siccome lui ha detto molto a noi non vogliamo anticiparvi nulla. Quindi buona lettura.

Chef togliamoci subito il dente, come gestiamo la questione del lei? In cucina cosa preferisce che usino chi collabora con lei?

Sono abituato a lavorare con molti giovani, soprattutto quando insegno, e mi piace che mi venga dato del tu. In alcuni casi, come ad esempio con Marco che è stato il mio sous chef per più di 15 anni, non riescono a darmi del tu per una questione di rispetto. Perciò se è una questione legata al rispetto da parte delle persone lascio che mi diano del lei per non farle sentire a disagio, ma io sono per il tu, perché per me pretendere il lei credo che mini un po' il concetto di fare squadra, crea un po' di distacco.

Bene allora proveremo a darti del tu. Durante le prime esperienze lavorative come è stato l’approccio a questo lavoro e cosa ricordi con maggiore piacere e anche con maggiore dispiacere?

Una delle prime esperienze è stata molto negativa, sono stato imbarcato su una nave come secondo cuoco. Nelle navi c’erano garzone di quinta, garzone di quarta, garzone di terza, di seconda, di prima e poi arrivava terzo cuoco, secondo cuoco e capopartita, quindi io poco più che vent’enne, e senza molta esperienza, sono partito da un ruolo ben definito e già con persone sotto di me da dover gestire e mi sono trovato in difficoltà.

Poi la vita in nave di per sé non è semplice e dover condividere gli spazi con altri rende il tutto più complesso, ad esempio io dividevo la camera con un altro cuoco che, pur avendo più mazzi di chiavi, non mi ha mai dato una chiave per la stanza e quindi io dovevo aspettare ogni volta che lui tornasse o venisse ad aprirmi quando fosse libero. Insomma non è stata fantastica come prima esperienza se non nell’ultimo mese dove oramai avevo capito le dinamiche e riuscivo a muovermi con maggiore sicurezza sia sul piano del lavoro sia sul piano relazionale.

Quindi una prima esperienza negativa dovuta anche al rapporto con i colleghi che erano poco accoglienti e competitivi verso un giovane entrato già con un ruolo di rilievo?

Sì, i colleghi erano molto competitivi. Poi bisogna ragionare sul fatto che negli anni ’80 le persone, diciamo una buona parte, che frequentavano le navi per lavorarci non avevano una formazione di tipo alberghiera, erano magari persone che d’inverno svolgevano un altro lavoro e poi si imbarcano. Quindi erano persone che svolgevano 2-3 lavori durante l’anno, in base al periodo, senza avere nessuna preparazione professionale. Ovviamente poi alcune di queste persone dopo anni sviluppavano una certa preparazione e una discreta professionalità. Però diciamo che tirando le somme l’accoglienza non è stata delle migliori.

Invece l’esperienza che ricorda con maggiore piacere?

Dove mi sono trovato meglio, strano a dirsi, ma sempre durante le mie prime esperienze al Mare Pineta a Milano Marittima in un hotel a cinque stelle. Nonostante ci fosse un po' di diatriba tra la cucina e la sala, ma quella c’è quasi sempre, con i ragazzi ho instaurato subito un bel rapporto e passare la giornata di lavoro in un ambiente sano era molto piacevole, tranne il sabato e la domenica dove si correva come dei matti e ci si faceva un gran sedere. Poi la sera alle 21.00 si era liberi e andavamo a ballare tutti insieme anche con i ragazzi di sala. E lì ho appreso davvero tanto sul modo della cucina.

E poi da chef come hanno influito queste esperienze sull’approccio con i collaboratori?

Dopo queste esperienze sono andato ad Argenta in un ristorante pizzeria, gestito dalla signora Gianna, di nome Il Trigabolo e dissi ai proprietari che non ero molto interessato alla pizzeria ma che volevo fare delle esperienze importanti. Allora i proprietari mi dissero che a breve sarebbe arrivata la licenza per il ristorante e che avrei potuto esprimermi come meglio credevo. Quindi a 21 anni circa sono diventato Chef, insomma mandavo avanti la cucina.

Poi sono arrivati Bruno Barbieri, Marco Gualandi, Marcello Leoni, Itali Bassi e tutti gli altri che poi sono passati. Bisogna calcolare che erano quasi tutti sedicenni ed io ero l’unico più grande con la patente, quindi ci siamo vissuti come una famiglia. Più che come colleghi di lavoro.

Quindi c’era una grande amicizia ma anche una gerarchia dovuta al lavoro?

Una grande amicizia sì, una gerarchia assolutamente no. Eravamo molto anarchici. Ci divertivamo e lì abbiamo creato la vera cucina espressa. Nata come esigenza più che come ragionamento, che poi ovviamente abbiamo capito e gestito per lavorare al meglio, perché non avevamo voglia di entrare in cucina a fare linea, quindi facevamo tutto in funzione della comanda…compreso tirare la sfoglia. Però poi dopo abbiamo capito che quello era il valore aggiunto sul quale puntare.

Igles dato che tu non hai peli sulla lingua, possiamo chiederti un parere sul rapporto Sala-Cucina e sull’Emergenza Sala di cui molti parlano ma pochi cercano di migliorare?

Io ho sempre detto che la sala è molto più importante della cucina, e i miei ragazzi possono confermarlo. Faccio sempre come esempio che se vai in un ristorante e mangi non benissimo ma il servizio ti ha fatto stare bene e ti sei sentito accudito molto probabilmente in quel locale ci ritornerai. Mentre se vai in un locale con una cucina stratosferica ma una sala pessima che non sa raccontare i piatti, non sa far star bene il cliente tu in quel locale non ci tornerai mai più.

Scherzando dico sempre che se quando siamo andati in tv io, Vissani e Paracucchi, se lui, riferito a Paracucchi, fosse rimasto legato alla sala a quest’ora avremmo la sala in tv e non la cucina.

Io ho sempre fatto una sorta di mea culpa perché nella mia cucina, che poi nel tempo ho rivisto, veniva fatto tutto in cucina e nulla veniva lasciato alla sala se non raccontare il piatto. Nel tempo ho lasciato molto spazio alla sala.

Anche perché la ristorazione non ha mai creduto molto nella sala perché bastava pagare lo chef, ed averlo bravo, e poi il resto lo si aggiustava. Invece bisogna tener presente che una buona sala può aiutare una cucina zoppicante e non il contrario.

Tutti sono indispensabili per il raggiungimento dell’obiettivo dai ragazzi della plonge fino al sous chef passando per il responsabile di sala ecc.

E allora come possiamo fare per capire che la ristorazione andrebbe rivista sia sul piano degli orari sia sul piano dei salari e delle leggi che la regolano?

Di questo ne parliamo spesso in radio anche con Visintin ed emergono grandi spunti di riflessione. In questo momento la ristorazione va rivista ed i ristoranti devono diventare un brand e non lavorare solo per il pranzo e la cena. Devono riorganizzarsi per poter lavorare a 360° con corsi di cucina, aperitivi, ovviamente quando torneremo alla normalità, e avere più collaboratori che fanno turni. Non si possono “sfruttare” dei ragazzi a fargli fare 18 ore in cucina. Io ho avuto ragazzi che ho mandato in posti dove venivano davvero sfruttati ed un ragazzo passi la sua gioventù solo ed esclusivamente in cucina. Bisogna dare dei ritmi, degli orari e permettere a chi lavora in cucina di avere anche una vita al di fuori. Io non ho mai amato gli stacanovisti, fai delle rinunce, fai un lavoro usurante e alla fine magari non arrivi neanche a goderti la pensione ed il meritato riposo.

D’altro canto però se un locale dovesse essere in regola con la legge, quindi tasse, contributi ecc…, non potrebbe sopravvivere per via delle spese, ma quando lo dico la gente mi ride in faccia. Ma come possono alcuni locali vendere dei piatti ad un prezzo ed avere 20-25 ragazzi in brigata? Perché molti non sono in regola o sono stagisti pagati con rimborsi. Quindi il prezzo di quel piatto lo paga sempre qualcuno…spesso un lavoratore.

Vedremo se prima o poi si avrà il coraggio di denunciare questo argomento e capire che non si è imprenditori se si lavora con il cassetto, facendo più possibile il nero, non pagando i contributi, non avendo una visione ma improvvisandosi ecc. Purtroppo non siamo uniti, in questo periodo ne abbiamo avuto la dimostrazione, e ovviamente lo Stato ci tratta di conseguenza facendo leva sulla nostra passione e il nostro voler fare ciò che amiamo anche se ciò significa affondare economicamente.

Quindi che futuro ci aspetta? Che riflessioni si sente di fare?

Io sono ottimista. Credo che la ristorazione uscirà da questo periodo cambiata ed avremo una nuova classe di chef che avranno voglia di fare e saranno preparati per il mercato. Credo che la carta vincente, come ho già detto, sia creare una visione ed un brand legato al proprio locale che gli dia un’identità precisa.

Però affinché ciò avvenga avremo bisogno di una legge che determini l’apertura di un ristorante altrimenti saremo sempre in questa situazione in cui chiunque può aprire senza alcuna competenza per farlo. Diciamo una sorta di “patente” .

(ndr, questo della patente è un concetto espresso anche da Franco Pepe.)

Credo che si debba creare una ristorazione più sana dal punto di vista sia dei prodotti sia della vita dei lavoratori, c’è la necessità di sviluppare nuovi format più adatti al mercato. Ci sarà sempre la ristorazione gourmet ma a questa va affiancata una ristorazione più fresca ed easy. Il vero fulcro sarà puntare sulla qualità in tutti i sensi.

Grazie mille Chef per gli interessanti spunti offertici e soprattutto per la schiettezza e la sincerità. Speriamo che molto di quanto detto diventi realtà.

Igles Corelli è stato il protagonista della quarta intervista su un argomento a noi molto caro che però spesso trova ancora molte resistenze nel parlarne da parte degli operatori del settore. Si ha ancora timore di affrontare argomenti che risultano scomodi perché mostrano lacune a livello legislativo, organizzativo e etico, ma bisogna tenere viva l’attenzione su queste tematiche per sviluppare maggiore consapevolezza su questo lavoro e creare maggior rispetto nei confronti di chi lo svolge per poter creare un domani una vita più sana per chi svolge questo mestiere.

Fateci sapere cosa ne pensate, a presto con una nuova Track che vedrà protagonista un altro chef…siete curiosi? Allora seguiteci e lo scoprirete.

Next Track – FEAR OF THE DARK feat ...?

Nel frattempo se volete passare un po' di tempo accompagnati da un po' di musica vi lasciamo il link della Compilation creata per questa rubrica. Siete curiosi di sapere quali saranno i prossimi temi…cercate di scoprirlo attraverso i brani.

La Playlist - The Dark Side of Restaurants

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