Coronavirus, Antonio Tammaro: "Licenziato perché ho detto la verità al mio staff. Volevano facessi finta di nulla"
Antonio Tammaro, 52 anni di cui 40 anni da pizzaiolo. Dal 2017 entra a far parte del Progetto Assaje: supervisore e firma presso la sede di Pizzeria Assaje a Milano, in Piazza Segrino, ma Antonio segue tutte le sedi della società, anche quella di Udine dove si trovata Domenica 8 Marzo quando è iniziata la sua quarantena e… si è concluso il suo rapporto con Assaje.
E tutte e due le cose a sorpresa!
Ciao Antonio, come stai?
Molto, molto ferito e amareggiato! Si guarda avanti però e spero che tutta questa situazione si risolva al più presto!
Andiamo per ordine, come sei arrivato al mondo pizza?
Inizia all'età di 10 anni infornando le famose pizze a portafoglio, facendo ben 8 anni di gavetta con i grandi pizzaioli tra cui Mario Abate, Andrea Castiglione, Luigi Capuano, Luigi Sorbillo e Antonio Iovine. Impara così storici metodi di preparazione, lavorazione e conservazione dell'impasto ed all'età di 18 anni passa al banco come pizzaiolo presso le grandi Napoli e qui ha avuto la possibilità di crescere e di fare tanta esperienza in campo. Nel 1999 ho iniziato a lavorare per la Trattoria Caprese dove sono rimasto fino al Marzo del 2017, momento in cui entro a far parte del progetto Assaje.
Come mai il cambio dopo tanti anni? Che ruolo avresti in questo nuovo scenario?
Il mio ruolo era quello di supervisore, sia come pizzaiolo sia riguardo lo staff. Mi occupavo di formare i ragazzi e le squadre dei vari locali portando la mia idea di pizza. E non solo, perché il mio nome compare sui menù così come al locale di Piazza Segrino, a Milano.
Mi erano state fatte promesse riguardo l’entrata in società, l’avere il 25%: tutte cose che in tre anni non ho mai visto poi. Io intanto aspettavo e continuavo a fare il mio lavoro perché credevo nel progetto.
Ci credo! C’era pur sempre il tuo nome.
Certo, il progetto vedeva il mio nome e in più ho sempre fatto questo mestiere con passione: tutti i giorni metto impegno e amore e cerco costantemente di restare al passo con i tempi, sperimentando sempre metodi nuovi per cercare di migliorare un prodotto che ancora oggi possa viaggiare nel tempo.
Cosa è successo poi?
È successo che Domenica 8 Marzo abbiamo saputo che una ragazza del locale, una mia collaboratrice che con me lavorava a stretto contatto, è risultata positiva al covid-19. Mi trovavo presso la sede di Udine e ho ritenuto necessario ed opportuno mettermi in quarantena: al mattino del 9 Marzo ho avvisato della mia scelta (onestamente più che obbligata) e sono rimasto chiuso in albergo, sempre ad Udine, per le successive 3 settimane. Ovviamente non ho ritenuto responsabile tornare giù a Napoli dalla mia famiglia per la sicurezza di tutti.
Ma poi sei tornato a casa…
Sì, il 30 marzo ho fatto rientro a casa. E dopo la gioia nel rivedere la mia famiglia mi sono subito ritrovato a sentirmi mancare la terra sotto i piedi, perché il 31, via raccomandata, è arrivato l’avviso del mio licenziamento.
Così? Dal nulla?
Come un fulmine a ciel sereno! Io ho un contratto che prevede la rescissione con 30 giorni di preavviso da entrambe le parti e infatti all’interno della raccomandata è stata messa la data del 1 Marzo, mentre la data di spedizione era 17 Marzo. Ma io dal primo al 9 Marzo ho lavorato! Non sarebbe accaduto probabilmente nulla se non avessi fatto la scelta di mettermi in isolamento e di cui non mi pento assolutamente: era una questione di responsabilità, di umanità e di correttezza.
Concordo pienamente, per questo ho da chiedere che cosa avresti dovuto fare secondo altri?
Volevano che facessi finta di nulla. Pensa che, a segnalazione avvenuta del contagio, la comunicazione arrivata al direttore fu di non dire nulla allo staff e di continuare a lavorare. Io non potevo assolutamente trovarmi in accordo e ho continuato sulla mia linea, venendo poi anche accusato di aver creato disagio e panico tra i miei collaboratori quando poi la prima cosa che hanno chiesto alla ragazza contagiata è stata dove lavorasse ragion per cui la stessa l’ASL ha provveduto a segnalare la cosa e mettere tutti in quarantena.
E fortuna che proprio il 9 Marzo sera, il presidente Conte dichiarò il lockdown altrimenti avrebbero continuato a restare aperti probabilmente.
Come hai reagito al licenziamento?
Ho provato a capire, ho cercato spiegazioni e ho cercato un punto di incontro ma sono stato trattato in un modo spregevole, vergognoso. Mi sono ritrovato dalla sera alla mattina senza un lavoro con una famiglia. Dopo un rapporto di lavoro ventennale e dopo aver messo la mia identità a disposizione del format e della comunicazione per i locali, mi son dovuto sentir dire che non mi spettava manco lo stipendio di Marzo perché non valevo nulla più per quella società. Mi sono visto costretto a procedere per vie legali.
E ora? Cosa farai?
Al momento sto collaborando con Passione di Sofí he fino a poco fa si occupava solo di friggitoria ed ora ha deciso di fare formazione anche per la pizza.
Fortunatamente ho anche incontrato un nuovo imprenditore che ha molte idee valide e sono in programma con lui nuove aperture in un futuro vicino, con un nuovo marchio.
Cosa ti senti di dire in conclusione?
Nulla più, solo che spero che tutto questo finisca al più presto e che ringrazio gli amici e colleghi dei locali Assaje perché con loro nulla si è rotto.
Ti faccio un immenso in bocca al lupo, Antonio!
Speriamo bene!