DOP e dintorni - Parte II: il singolare caso della Mozzarella di Bufala Campana DOP tra innovazioni e tradizione

Antonio Lucisanomer 13 gen 2021

Abbiamo visto in precedenza quanto sia efficace il sistema di regole e di controlli predisposto a livello europeo per favorire una sempre miglior conoscenza e penetrazione sul mercato dei prodotti marchiati con una DOP o una IGP, e come questo sistema consenta, da una parte, di proteggere i prodotti tipici di una certa area geografica e, dall’altra, di assecondare il loro progressivo adeguamento alle sempre nuove esigenze dei mercati internazionali.

Purtroppo però non è sempre così, e non è così soprattutto al Sud, proprio nei territori d’origine di quasi tutti i prodotti-simbolo del Made in Italy agroalimentare: l’olio d’oliva, il pomodoro, il vino, la pasta, i formaggi a pasta filata e tanti altri. Un esempio? Il Provolone, un formaggio il cui nome non dovrebbe evocare altro che Sud, gode della DOP “Valpadana” e si può produrre solo nelle province di Cremona, Brescia, Verona, Vicenza, Padova, Rovigo, Piacenza e in alcuni Comuni delle province di Trento, Bergamo, Mantova e Lodi.

La causa di queste occasioni perse consiste sempre nell’insufficiente livello di coesione e di integrazione fra i produttori, oltre che nella inadeguatezza di chi dovrebbe rappresentarli a livello associativo e istituzionale.

Anche una volta ottenuta la DOP del prodotto e creato il relativo Consorzio di Tutela, spesso i soci non riescono ad esprimere leadership autorevoli e durature, e così i Consorzi finiscono per non esercitare appieno il loro ruolo, con il risultato che chi può (la politica e le associazioni di categoria su tutti, ma non soltanto loro) interferisce pesantemente sul funzionamento di questo delicato sistema di rappresentanze, sfruttando il fatto che la conoscenza di queste tematiche è tutt’altro che approfondita, non solo nell’opinione pubblica, ma anche all’interno delle istituzioni locali e nazionali.

Il risultato è che nei disciplinari le regole che dovrebbero esserci spesso non ci sono e che quelle sbagliate o obsolete non vengono corrette, cosicché il prodotto finisce per non rispondere, come era invece nelle intenzioni del legislatore europeo, né agli interessi dei produttori né a quelli dei consumatori, e tante opportunità di sviluppo economico vengono banalmente sprecate.

Il disciplinare della Mozzarella di Bufala Campana,

la più importante DOP di tutto il Centro-Sud Italia, rappresenta, a questo proposito, uno scrigno inesauribile di esempi, fra i quali:

  • La città di Napoli è esclusa dall’area DOP, mentre vi è compresa la città di Roma. Perché? Forse perché su questo prodotto Roma vanta una tradizione consolidata, che invece Napoli non ha? Sappiamo tutti che non è affatto così. La ragione è molto più banale: nel ’93, all’epoca del riconoscimento, Andreotti era potentissimo, mentre ai politici napoletani non fregava granché degli allevatori di bufale;
  • Il prodotto può essere ottenuto solo da latte munto al massimo 60 ore prima. Ci sono studi scientifici che dimostrano che dopo 61 ore la qualità del prodotto finale viene compromessa, anche quando il latte è sottoposto a sistemi di conservazione moderni? No. La regola è questa solo semplicemente perché agli inizi degli anni ’90 nessuno aveva spiegato chiaramente ai produttori che con la DOP il latte sarebbe potuto provenire esclusivamente dall’area geografica designata, e quindi questi pretesero che si inserisse un vincolo temporale che evitasse (allora, non certo oggi che l’efficienza della logistica è migliorata enormemente) il ricorso a latte di altre aree. La conseguenza è che oggi i caseifici non hanno alcuna possibilità di far fronte alle oscillazioni della domanda, e quindi devono trasformare per forza tutto il latte prodotto quotidianamente dalle bufale, a cui pare che nessuno sia in grado di insegnare a fare più o meno latte, a seconda dell’andamento delle vendite. E quindi cosa accade? Che i caseifici sono costretti di fatto a produrre mozzarella generica, facendo concorrenza al marchio DOP (e quindi a sé stessi).
  • L’unico strumento a disposizione dei produttori per differenziare la propria offerta sul mercato è in pratica il prezzo, perché il disciplinare non ammette formati diversi da quelli tondi, fino a 800 g. al massimo, o a treccia, fino a 3 kg., e obbliga a confezionare il prodotto come si faceva un secolo fa, prima che l’innovazione tecnologica ampliasse enormemente i metodi per conservare e confezionare gli alimenti freschi.
  • Manca completamente nel disciplinare qualsiasi requisito relativo al benessere animale o al rispetto dell’ambiente, e sono quasi inesistenti quelli relativi alle modalità di alimentazione delle bufale: tutti argomenti che sarebbero invece di estremo interesse per il consumatore del terzo millennio.
  • In pieno boom dei consumi di pizza napoletana, il disciplinare non consente al pizzaiolo di disporre di un prodotto DOP realizzato ad hoc, lasciandogli solo due alternative: usare il fiordilatte o comprare mozzarella di bassa qualità, metterla in frigo e poi strizzarla fino a fargli perdere il siero in eccesso, per non rovinare la sua pizza. Idem per i produttori di pasta ripiena surgelata, che devono ricorrere ad altri stratagemmi assurdi per poter rivendicare in etichetta la presenza della bufala DOP.

La tecnologia del freddo ha fatto negli ultimi 20 anni passi da gigante, consentendo velocità di abbattimento tali da consentire addirittura ad un utero di scimpanzé fecondato di essere regolarmente partorito dopo essere stato espiantato, surgelato, scongelato e reimpiantato nel grembo materno. Ciò nonostante, il disciplinare di un prodotto-simbolo del Made in Italy, che avrebbe un potenziale di sviluppo enorme, se fosse possibile consumarlo in tutto il mondo ma senza gravarlo dei costi proibitivi del trasporto aereo, continua ad ignorare questa gigantesca opportunità commerciale.

Si sarebbe insomma dovuti passare da tempo, per recuperare il riferimento da cui eravamo partiti, dal “Dominus vobiscum” a “Il Signore sia con voi”. Sono sicuro che anche Papa Francesco sarebbe d’accordo e che, se non avesse per ora tante e ben più importanti gatte da pelare, darebbe volentieri una mano alla filiera bufalina e ai tanti altri magnifici prodotti del Mezzogiorno che altri territori non riescono ad eguagliare, ma che noi non riusciamo a valorizzare come meriterebbero.

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