Panini foodporn: basta!
Se c’è una cosa in cui questo mondo è specializzato si tratta sicuramente del creare fenomeni. In tutti i sensi, eh!
Basta pochissimo ormai per lanciare mode, rendere un ingrediente il solo richiesto, dirottare la domanda su un prodotto che ha il merito solo della sponsorizzata e non della vera qualità, accendere i riflettori sull’associazione materia prima-paese di provenienza (e quant’è grande sto Bronte?). Allo stesso modo, con la stessa semplicità si creano personaggi (i fenomeni appunto) che sempre più spesso nulla fanno di nuovo né di più rispetto a quanto i veri top player hanno già “creato”.
Il panino gourmet
Il decennio appena passato ha visto protagonista la rivisitazione del panino da fast food. Letteralmente è stato sulla bocca di tutti. Si è trattato di un vero fenomeno astrale: una stella cadente insomma, un passaggio rapido e indolore (mica tanto per chi vi aveva investito) che ha portato il panino a snaturarsi. L’idea di mangiare un panino è sempre stata associata alla semplicità, alla praticità ma al contempo alla voglia di qualcosa di godurioso che non impegni. Nel giro di poco tempo, grazie all’idea di qualcuno di rendere “speciali” gli ingredienti del cugino del sandwich, si è arrivati a trasformare la praticità in complessità: panini che non era possibile mangiare come natura vuole (con le mani, con il morso secco) ma che piuttosto richiedevano posate o comunque l’intervento di qualcosa che riuscisse a tenere insieme le parti.
Illustrazione di theanimismus
Strati troppo numerosi, ricerca estremizzata della materia prima, collaborazioni stellate, in più, hanno portato anche alla crescita del costo del prodotto finito.
Non solo, si è persa anche la genuinità del panino nella sua accezione più ovvia quindi sono scomparse dalla circolazione rosette e sfilatino, a regnare era il bun: pane dolce e morbido che in mille mila varianti ha fatto di ogni “paninaro” il creatore di una ricetta.
Nel giro di pochi (5-6) anni il fenomeno è crollato. Stanco della ripetitività, saturo della complessità ma soprattutto privato della praticità. Coloro che ne sono usciti indenni sono stati quelli che pur lavorando su di una offerta sempre nuova e mai carente in qualità, sono riusciti a mantenere sempre viva la loro personale idea di panino.
Esempi in Campania?
- DaGigione, probabilmente re indiscusso che mette d’accordo tutti ma soprattutto è uno dei pochi che sta portando davvero il panino nell’idea di ristorazione perché è quello il senso: ragionare – pur essendo pub o pizzeria – sempre con gli equilibri, la varietà e la composizione dando anche l’opportunità di provare qualcosa di “diverso” ma per farlo ci vogliono basi e formazione;
- Puok Burger Store che ha fatto del panino il suo personale tributo ad ogni nonna napoletana; perché il successo di un qualunque piatto passa anche per la memoria palatale, per tutti quei piccoli segnali che fanno di una nuova esperienza un incontro con il ricordo.
- 12 morsi che ha sempre coniugato la curiosità con il gusto, che ha voluto da sempre fare del panino qualcosa che ti facesse tenere il mondo tra le mani.
- E ancora Soul Burgers, il format “mobile” di Ettore Vivo che non rinnega grandi colossi da cui si può solo imparare e che anzi prova a dire al mondo del panino che con la qualità e l’attenzione al tempo (dalle preparazioni allo studio della farcitura, dalla scelta accurata dell’ingrediente al tempo di permanenza di quello specifico panino) si può rendere unica anche una serata organizzata da un farmacista.
- Jooink che di volta in volta arricchisce il suo menù di piccoli esperimenti che Giovanni Agnese mette a disposizione del suo pubblico rendendoli protagonisti di scelte che non sono mai un accontentare ma sempre una occasione in più per diffondere cultura. Grazie a Jo un panino riesce a diventare di tutto: ricordo di una pizza, reinterpretazione di un piatto iconico, una nuova lettura di un gusto noto o una vecchia gloria con un sapore nuovo. Basta che non manchi la porchetta. Jooink che non rinuncia alle origini, al foodporn vero!
Si, perché un altro problema grave è quello della generalizzazione di questo termine. Foodporn è un termine che nasce per indicare foto di cibo che letteralmente fanno venir voglia di addentarli, un qualcosa di così appetitoso da lasciare spazio solo all’istinto. E chi siamo noi per decide cosa scatena o non scatena questo effetto?
Si è caduti nell’errore di rendere il termine foodporn indicativo di qualcosa di negativo, di un panino banalmente stracarico e incomprensibilmente strabordante. Che comunque resta invitante per la propria fascia di pubblico, perché parliamoci chiaro: non esiste offerta se non c’è domanda. E, come sempre, se fanno numeri sono loro a vincere - che piacciano o meno.
La pizza gourmet
Qualcuno azzarderebbe a dire che lo stesso fenomeno lo sta affrontando la pizza. Nossignore!
La pizza, piuttosto, ha dato inizio a tutto ciò. Chi più del mondo pizza può e sa creare fenomeni. È sempre al famoso disco di pasta guarnito che dobbiamo la nascita di questo tipo di fenomeni. Chiedete il perché? Beh semplice perché è proprio la riuscita mediatica e popolare della pizza rivisitata, reinventata, esclusivizzata, tributata e stellata che ha dato speranza al panino.
D'altra parte però l'idea che la pizza sia un prodotto "più nostro" rispetto al panino mi rimbalza nella testa.
Qualche tempo fa su queste pagine leggevamo: “Si chiama pizza effect quando un costume o una usanza o un cibo di un dato Paese viene abbracciato altrove, così tanto che ne rientra pienamente a far parte della quotidianità della nuova nazione. Il territorio d’accoglienza, quindi, lo interiorizza al tal punto che pensa sia proprio nato lì. Qualche volta, poi, il Paese cerca anche di esportarne la propria versione.”
Probabilmente in questo fenomeno è possibile ritrovare una ulteriore spiegazione riguardo la differenza tra la pizza e il panino.
La pizza dà il via alla sua ascesa ed alla conquista del globo partendo da basi forti, da esempi ben precisi (la margherita, la marinara, la napoletana) insomma poche semplici regole da seguire e da cui “non si scappa”, si può dire un modello di tradizione a cui ispirarsi.
L’unico modello di panino arrivato a noi è quello americanizzato - con l’hamburger per intenderci - diciamolo chiaramente: il panino del Mc Donald’s! A differenza della pizza negli States - che è stata internalizzata, personalizzata e riproposta facendo sì che la situazione si capovolgesse a tratti e che il Belpaese guardasse alle pizze yankee – il panino, in Italia, è stato preso e adottato nella sua massima standardizzazione quando invece il potenziale del prodotto sta tutta nella esponenziale personalizzazione e della riconoscibilità e delle cotture e delle consistenze.
Illustrazione di theanimismus
Un altro aspetto poco affrontato, infatti, sono le modalità di preparazione dei vari strati che vanno a comporre il panino dandogli consistenza, miscibilità e, perché no, equilibrio. Sono le varie cotture - che ovviamente derivano dalla esperienza e dalle competenze di chi in cucina testa e sperimenta - a dar completezza alla realizzazione, all’identità e alla riuscita del panino inteso come proposta cardine.
Il mondo della cucina si è accorto di tutto ciò? Certo! Così dalle menti e mani sapienti di Marco Cefalo e Valentino Tafuri e di Incibum è in arrivo una masterclass improntata proprio sul tema “Bun e Burger”… ma di questo vi racconteremo in modo approfondito in un altro arricolo.
“La masterclass cercherà di insegnare come si crea un panino buono con ingredienti cucinati bene e utilizzando le tecniche giusto, quindi senza improvvisare e senza fare show ma puntando al cliente che quando mangia possa sentire il gusto e si ricordi di quel taglio di carne ma soprattutto di quel morso“ - ci ha anticipato lo chef Marco Cefalo.
Cosa voglio dire?
Che la conosciamo alla perfezione, sappiamo come, dove e quando valorizzarla, sappiamo come sfruttarla al meglio; il panino invece è nettamente un simbolo yankee che noi abbiamo importato. L'errore è stato non miscelarlo con la nostra cultura, piuttosto tendiamo sempre a riprodurre americanate che puntualmente ci dimostrano di essere meteore nel panorama gastronomico quotidiano. Ovviamente a meno che non si parli dei colossi del fast food.
Insomma, pensiamoci: quali sono le "paninoteche" nostrane che hanno sfondato in tutta la penisola (e oltre)?
Ma certo, "All'antico vinaio" che ha fondato il suo successo su un pane locale con salumi e formaggi del Bel Paese; ma anche "Pescaria", che propone - seppur in chiave rivisitata o con delle contaminazioni - un prodotto che richiama e rivendica costantemente la propria identità pugliese.
Cosa? Perché la pizza va e il panino no?
Eccovi le mie ragioni:
1) Il panino ha avuto una trasformazione troppo improvvisa e troppo drastica dimenticandosi di cercare costantemente l’approvazione del pubblico; la pizza invece si è mossa con il suo pubblico, crescendo e adattandosi con esso.
2) Nell’ambito del settore panino, nessuno è riuscito a “sovrastare gli altri”, nessuno si è distinto, nessuno ha fatto sì da istituire un movimento, con un motto e una vera novità da voler inseguire. Nel mondo pizza, invece… non c’è bisogno di spiegarvelo, no?
3) La pizza ha un indiscusso vantaggio: ha un solo strato di impasto che quindi - a necessità opportuna del pizzaiolo - può fare da sostegno, può sparire, può intervenire per consistenza e spessore, dolcezza e sapidità.
4) Ci si impegna così tanto a valorizzare ogni singolo ingrediente che non riusciamo a capire che il panino deve essere fatto anzitutto di carne (o di pesce, nel caso) quindi è inutile inserire - solo per il gusto di cosa poi? - condimenti random, senza coerenza con il prodotto.
Come dice Ettore Vivo, “stop al crocchè nel panino”: non si tratta di una storia di foodporn o di tradizione o di qualsiasi altra bella parola vi venga in mente che faccia pendant con lo storytelling; piuttosto è una questione scientifica e chi studia lo sa: l’amido della patata va a coprire tutti i sapori inevitabilmente e il sapore della carne non sono diventa camuffabile ma addirittura trascurabile. Ovvio che a quel punto posso scegliere (dico a caso) di usare un hamburger di 0.50cent al pezzo tanto quanto quello da 4€ che non farà differenza. Ma è solo un esempio: anche una salsa troppo corposa o un contorno troppo condito possono rimetterci nella stessa situazione: coprono il patty.
Illustrazione di theanimismus
5) I panini sono troppo grandi. Il panino resta - come la pizza - qualcosa da dover e poter mangiare con le mani, con la caratteristica di riuscire in un solo morso (e che sia fin dal primo!) ad assaporare tutto, senza complicazioni, senza dover per forza avere gomiti saldi al tavolo o posate a cui lasciare il compito di unificare.
Dunque non sto dicendo che il panino deve trasformarsi nel boccone finger food ma che deve avere la compattezza, la stratificazione e gratificazione di adempiere al suo primo compito: essere protagonista dello street food.
E ancora una volta allora torniamo ad Egidio Cerrone ed Ettore Vivo che condividono forse l’unicità di primato in questo (oltre alla formazione in studi scientifici che forse forse è il vero quid in più): entrambi i loro format sono dedicati alla romantica visione del panino da steeetfood che deve essere pratico, saporito, pieno ma non gonfio, strutturato ma non standardizzato, pensato ma non solo logico e così il loro prodotto diventa anche foodporn, comfort food e più di tutto a misura dell’esperienza.
La storia si ripete: ci vuole coerenza!
Una esperienza resta sempre proporzionata a contesto, alle aspettative ed al format eppure atmosfera, personalizzazione, capacità di semplificazione e armonia sono la chiave di volta per determinare ciò che sul serio deve fare la differenza: l’offerta in quanto “mia”, mia e basta.
D’altronde anche un pranzo in un ristorante pluripremiato non sortirebbe gli stessi sprazzi luminosi se oltre ad una gran cucina non avesse un servizio di sala ad hoc, una proposta di pairing concorde e valorizzante rispetto alle linee del menu, un’ambientazione consonante e una accoglienza centrata.
Probabilmente il panino vive di ciclo e di "finte novità" che ritornano negli anni proprio perché ha un appeal verso i giovani, verso i teens che reputano vecchio ciò che dura più di una storia instagram. Ragion per cui, il nuovo deve sempre essere super nuovo e così, mentre i fenomeni del momento accompagnano una generazione, quella successiva è pronta a eleggere nuovi beniamini, più nuovi, più moderni, più instagrammabili, più in trend; non perché siano più o meno vicini alla tradizione quanto più perché siano maggiormente in linea con ciò che risulta opporsi alla definita normalità.
In pizza we trust
Tutte queste cose ci fanno pensare che il fenomeno pizza sia lungo a sparire, se non impossibile. E seppur la bolla stia per esplodere - a causa del sovraffollamento del settore, della incredibile reiterazione di pizze sempre più simili tra loro - non c’è verso di perdere quella che da sempre è il simbolo di condivisione e convivialità ma che si appresta a diventare sempre più il miglior compromesso tra ristorazione di alto standard e semplice gita fuori porta per offerta e rapporto qualità-prezzo. Non devo elencarvi certo i vari ed eventuali Capece, Martucci, Padoan, Pepe, Seu, Lioniello.
Correlati:
- Oggi sono i pizzaioli (e la pizza) a condurci alla alta cucina
- Food cost, la percezione fa tutto: parliamo piuttosto di Break Even Point!
- I grandi marchi alimentari spesso sono sinonimo di scarsa qualità percepita: è davvero così?
- Intervista a Ettore Vivo
- Intervista a Egidio Cerrone
- Foodtruck Puok Burger Store
Seguici su facebook foodclub.it
Entra nel vivo della discussione sul nostro gruppo, un luogo libero dove professionisti della ristorazione, clienti e #foodlovers si confrontano sui temi del giorno: Join the #foodclubbers Be #foodclubber