Francesco Sodano, la sua Ostrica e lo Hakuryu Junmai Ginjo
Nel panorama della gastronomia campana, e non solo, lo chef Francesco Sodano non ha certo bisogno di presentazione ma due righe è sempre bene riportarle per dovere di cronaca: è di Somma Vesuviana, la città della famosa albicocca “pellecchiella” ubicata nel cuore del Parco Nazionale del Vesuvio, proviene da una famiglia di chef, entrambi i genitori lo sono ed insegnano pure all’istituto alberghiero, ed i suoi nonni sono di estrazione contadina…. Insomma i presupposti giusti per pigliare quella sana abitudine ad apprezzare prodotti di eccellenza del territorio ed appassionarsi all’arte culinaria.
Dopo gli studi liceali ed essere scampato al suo sogno di diventare veterinario, per la gioia dei nostri palati, comincia finalmente il suo percorso nelle brigate di cucina. E che percorso!
Tanta gavetta e tanto lavoro in ristoranti da 200 ospiti a coperto, sia a pranzo che a cena, ma tantissime esperienze formative in giro per il mondo e certamente non meno faticose: da Oliver Glowig all'Aldrovandi di Villa Borghese e da Anthony Genovese a Il Pagliaccio nella città eterna, poi all'Oracle di Los Angeles, al Galvin at Windows al London Hilton Park Lane, all’Annabel’s club a Mayfair e presso l’Enoteca Turi durante il suo periodo londinese, periodo che gli è valso uno stage cruciale per la carriera al Fat Duck di Heston Blumenthal, per poi tornare in Italia in location come il Quattro Passi di Nerano ed a Casa Tre Pizzi di Napoli.
Sodano approda al celebre Faro di Capo d’Orso, celebre ristorante in Costiera Amalfitana condotto in maniera ineccepibile dalla famiglia Ferrara dal ’35, e nel 2019 scala la vetta e si guadagna la sua prima stella. Francesco però agli esordi c’era già stato in quel di Maiori e nel ristorante dove adesso dirige con estro e scrupolosità le cucine, con l’aiuto del fratello Salvatore, dieci anni fa si trovava sotto la guida di Pier Franco Ferrara il quale, oggi come allora, lo supporta e lo spinge a dare sempre il meglio, senza porre alcuna limitazione di sorta.
Francesco Sodano è un avanguardista e, assieme ad altri giovani e valenti chef, porta avanti un concetto innovativo, un movimento che rivoluziona la cucina italiana dalle fondamenta chiamato Cucinanuova. Nessun estro o bel gesto culinario finalizzato a sé stesso: tutto nella sua arte culinaria è studiato meticolosamente e senza seguire facili mode visive e gustative, insomma una proiezione tutta sua, personale e distaccata, coraggiosa e contemporanea. Acidità, ossidazione ed affumicatura sono toste a gestirsi, soprattutto quando si esige una texture specifica ed un equilibrio gustativo calibrato, ma Francesco, grazie alla pratica ed agli approfondimenti, oltre che appassionatissimo di fermentazioni a tutto spiano, tira sempre fuori dal cilindro piatti estremi ed armonici al tempo stesso, frutto di accostamenti desueti. Solleticato dal tema sulle fermentazioni e con una bottiglia di sake artigianale come pretesto per una nuova creazione Francesco, da bravo lottatore di judo, non si è affatto tirato indietro, anzi si è subito cimentato col suo entusiasmo, la sua modestia e la sua grande disponibilità e, dopo aver fatto alcune domande sul sake e la sua provenienza, lo ha assaggiato accuratamente ed ha da subito ingegnerizzato il piatto nella sua testa.
Con lo Hakuryu Junmai Ginjo delle cantine Yoshida, situate nella prefettura di Fukui, per via dei profumi fruttati, la piacevole freschezza ed una buona percezione di umami, lo chef ha creato un piatto interessantissimo e davvero fuori dal comune: un’ostrica con cetrioli lattofermentati, emulsione di rafano e sake, granita di lattuga, poi disposta su di un letto della stessa alga utilizzata per la granita e del sale grosso. Di questa preparazione si apprezzano moltissimo le note olfattive sia vegetali che iodate, le due diverse consistenze, quella croccante e sottile del cetriolo e quella più voluttuosa e satinata dell’ostrica di Bélon, inoltre la complessità gusto olfattiva è giocata tutta su percezioni molto nitide: acidità, sapidità, aromaticità e tendenza dolce in perfetto equilibrio, buona persistenza palatale, ed infine l’umami, vera chiave di volta del paring, presente tanto nel piatto che al calice.
Esperienza gustativa estremamente interessante e coinvolgente, da ripetere assolutamente, frutto di una grande maturità e consapevolezza, non solo del cibo mediterraneo e delle sue nuove interpretazioni, ma anche di una nuova evoluzione del bere che lo chef Sodano ha saputo proporre con maestria.
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