I Vini di Casale del Giglio, nell’Agro Pontino, dove l’innovazione demolisce i luoghi comuni.
Madre Natura ha le sue regole, e per darci i suoi tesori pretende che queste siano studiate e rispettate. Sbaglia di grosso, però, chi sottovaluta il ruolo che può avere l’ingegno umano nel governare e indirizzare i processi naturali in modo da ottimizzarne i risultati qualitativi. E sbaglia ancora di più chi pensa che ormai ci sia poco da scoprire, in quel complesso rapporto fra uomo e natura che determina le caratteristiche finali di un prodotto.
Che cos’è un vino? È il risultato ultimo di una complessa serie di fattori naturali e tecnici che interagiscono e si sommano fra loro, a partire dalla genetica e dalle modalità di coltivazione delle uve, proseguono con le tecniche di vinificazione ematurazione e svelano il risultato solo alla fine, quando il vino realizzato con quelle uve si versa nel bicchiere e si degusta.
Non è una esagerazione se si afferma chel’evoluzione da un’uva ad un vino assomiglia molto a quella che porta un bambino a diventare un uomo maturo. Il bambino nasce con uno specifico DNA, che raccoglie l’eredità dei genitori e gli conferisce quei caratteri fisici che sono i più appropriati per svilupparsi nell’ambiente di origine. Ma il carattere di quel bambino si formerà poi soprattutto grazie all’educazione, alle esperienze e agli stimoli che egli riceverà dal contesto in cui vive, che può anche essere molto diverso da quello da cui proviene. Ne sono una dimostrazione le tante persone che, dopo essersi spostate in tenera età da un continente all’altro, non solo si adattano perfettamente, col passare degli anni, al nuovo ambiente, ma vi introducono nuova linfa, in termini sociali e culturali, e spesso diventano persone migliori dei loro simili che sono rimasti nel territorio d’origine.
La stessa cosa può accadere quando una cultivaroriginaria di un certo territorio viene trapiantata ed allevata altrove. La condizione è che chi la governa e la “educa” al nuovo habitat la conosca a fondo e possieda le competenze tecniche necessarie a cogliere appieno tutte le opportunità che essa può offrire, da sola o in combinazione con altre. Questo approccio è stato alla base del successo ottenuto nei cinque continenti dai grandi vitigni internazionali, che hanno dato comunque origine a vini diversi nei diversi territori, ma è ancora abbastanza inesplorato per tanti altri vitigni considerati pregiudizialmente inamovibili dai propri territori d’origine.
Proprio perché condizionate da un timore quasi reverenziale nei confronti delle leggi naturali, le aziende enologiche hanno spesso limitato i propri orizzonti alle sole varietà che nel tempo hanno dimostrato di sapersi ambientare con successo negli habitat caratteristici del proprio territorio. E anche a livello istituzionale la regola è stata quasi sempre quella di promuovere le coltivazioni tradizionali e di recepire solo queste nei disciplinari delle indicazioni geografiche locali, disincentivando di fatto i produttori a sperimentare nuove varietà ed a ricercare “nuove frontiere” nell’abbinamento fra cultivar e territorio.
In conseguenza di ciò, può accadere che siano proprio i territori con minori tradizioni enologiche a diventare paradossalmente gli scenari ideali in cui si avviano percorsi di ricerca innovativi, e che proprio da questi possano nascere nuovi vini di insospettabile qualità, come accade ormai dadecenni in Australia, in California, in Cile o in Sud Africa.
Un vero e proprio caso di studio - tutto italianostavolta - di questo approccio innovativo verso la sperimentazione sul campo delle relazioni fra vitigni e territorio, alla ricerca del connubio ideale, è quello di cui è protagonista Casale del Giglio, l’azienda diAntonio Santarelli, erede di una famiglia impegnata da oltre un secolo nella commercializzazione di vinied oggi a capo di un’azienda enologica modello, che produce qualcosa come 2,3 milioni di bottiglie, suddivise fra una ventina di etichette diverse.
Nata nel 1914 ad Amatrice, l’azienda Santarelli disponeva già nel 1935 di una dozzina di propri esercizi commerciali a Roma, con sede operativa nel cinquecentesco Palazzo Capranica, all’interno del quale è oggi collocato il Collegio Bistrot, un iconico locale che funge da cornice ideale per accompagnare i vini di Casale del Giglio con una offerta di ristorazione di eccellente livello.
Casale del Giglio porta avanti il suo progetto dal 1985 nell’Agro Pontino, nei pressi dell’antica città volsca e romana di Satricum, a metà strada fra Latina, Anzio ed Aprilia. Qui, su una estensione di 180 ha, si iniziò col mettere a dimora ben 57 varietà di vitigni, sia autoctoni che internazionali, avendo cura di impiantarli su frazioni di terreno diverse per caratteristiche di tessitura, composizione ed esposizione ai venti, in modo da incrociare tutti i principali fattori che possono condizionare la qualità finale del vino.
Ognuna di queste cultivar fu poi vinificata in purezza per almeno 5 anni, così da tenere debito conto anche della variabilità delle condizioni climatiche, per poi selezionare i vitigni che avevano mostrato le migliori performance qualitative e concentrare su questi gli sforzi necessari a valorizzarli. Il tutto senza farsi condizionare più di tanto dalle scelte già operate a livello regionale, sulla scorta delle tradizioni enologiche dell’area, ma avviando al contrario tutte le iniziative necessarie a stimolare la Regione Lazio ad allargare il panorama ampelografico regionale, affinché fossero recepite nei disciplinari di produzione le nuove varietà sperimentate con successo.
Per condurre un progetto così ambizioso di ricerca e sviluppo sul campo era indispensabile disporre di competenze tecniche di prim’ordine, e per questo l’azienda è ricorsa a Paolo Tiefenthaler, enologo trentino di fama internazionale, uno che, tanto per tornare al paragone del vino con gli esseri umani,possiede davvero tutto il bagaglio di esperienzanecessaria ad “educare” nel migliore dei modi non solo le cultivar autoctone, ma soprattutto quelle che fino a poco tempo fa nell’Agro Pontino erano completamente sconosciute.
Tiefenthaler ha così selezionato 4 “nuove” cultivar bianche (Chardonnay, Sauvignon, Viognier e Petit Manseng) e altrettante rosse (Shiraz, Cabernet Sauvignon, Petit Verdot e Tempranillo), in aggiunta alle classiche varietà indigene che l’azienda alleva in vigne più piccole, situate nelle specifiche zone d’origine: il Bellone di Anzio, la Biancolella di Ponza, il Cesanese di Affile e Olevano Romano ed il Pecorino di Amatrice.
I risultati non si sono fatti attendere ed oggi Casale del Giglio dispone di una gamma di vini di assoluto livello. Fra i bianchi, senza citare gli eccellenti risultati ottenuti con lo Chardonnay, il Sauvignon e il Petit Manseng (un’uva originaria del versante francese dei Pirenei), tutti vinificati in purezza, meritano una menzione speciale:
- Il Viognier, vitigno tipico del Sud della Francia, lavorato anch’esso anche questo in purezza, ma da frazioni di uve raccolte in tempi diversi e sottoposte a preventiva crio-macerazione, in modo da coniugare al meglio acidità ecomplessità aromatica, così da ottenere un vino fruttato di grande freschezza, anche grazie alla lunga sosta in acciaio sui propri lieviti;
- Il Radix, ottenuto dalle antichissime uve Bellonedi Anzio vinificate in purezza, nel quale la macerazione sulle bucce, la pressatura soffice, lafermentazione spontanea e la successiva, lunga permanenza sulle fecce nobili danno vita ad un vino molto equilibrato, dagli intensi profumi floreali e fruttati, sapido e minerale;
- L’Antinoo, il più prestigioso fra i bianchidell’azienda, uvaggio sapiente di Viognier (80%ca.) e Chardonnay (20% ca.), fermentato in botti di acacia da 500 lt, dove avviene sia la fermentazione alcolica che quella malolattica, ed arricchito da una aliquota di Chardonnay che transita in barrique di rovere non tostato, così da ottenere un vino di rara eleganza, tanto per le ricche note floreali che per la complessità e la lunga persistenza in bocca.
Venendo ai rossi, oltre alle eccellenti interpretazioniin purezza di Shiraz, Cesanese di Olevano Romano (etichettato come Matidia), Merlot e Tempranillo(un uva originaria del Nord della Spagna), Casale del Giglio produce 3 vini particolarmente intriganti:
- Il Petit Verdot in purezza, un vitigno tardivo tipico della regione di Bordeaux adattatosi alla grande nell’habitat pontino, il cui vino, affinato prima in barrique e poi in bottiglia, stupisce per l’eleganza dei tannini, per la complessità dei suoi profumi e per il gusto fruttato e speziato particolarmente persistente;
- Il Madreselva, un blend di vini da uve mature di Merlot, Cabernet Sauvignon e Petit Verdot, vinificati e maturati separatamente in piccole barrique per poi essere affinati in bottiglia, dove prende vita un vino rubino, molto equilibrato e ricco di note di frutti rossi;
- Il Mater Matuta, ottenuto da uve mature di Syrah85% e Petit Verdot 15%, vinificate con tecniche diverse e maturate in barrique separatamente, in modo da ottenere la massima sinergia fra le proprietà dei due vitigni, prima del definitivo affinamento in bottiglia: è la punta di diamantedell’azienda, etichettata con il nome prestigioso della mitologica Dea dell’Aurora a cui era dedicato il vicino tempio di Satricum, dove Casale del Giglio finanzia da molti anni una importante ricerca archeologica in collaborazione con l’Università di Amsterdam.
L’offerta di Casale del Giglio è completata da altri due eccellenti prodotti:
- Un grande rosato, l’Albiola, dal colore rosa antico con riflessi violacei, ottenuto con la tecnica del saignée da un uvaggio di Syrah 85% e Sangiovese 15%, così da realizzare un vino di grande struttura, ricco di suggestioni floreali e con una acidità ed una persistenza in bocca che lo rendono partner ideale anche di piatti con componenti grasse importanti;
- L’Aphrodisium, da vendemmia tardiva di Petit Manseng, Vioigner, Greco e Fiano, che insieme danno vita ad un vino giallo-oro, fresco ma al tempo stesso molto complesso, in grado di abbinarsi bene tanto con dessert che con formaggi di discreta stagionatura.
Sono almeno due i motivi per i quali il progetto di Casale del Giglio rappresenta un caso di studiooriginale.
Il primo, già sottolineato, consiste nella continua, audace sperimentazione di nuove cultivar e di nuove tecniche enologiche, che hanno portato nuova linfa al panorama vitivinicolo nazionale e stanno richiamando l’attenzione degli appassionati su un territorio come l’Agro Pontino, assai poco considerato in precedenza come vocato alla produzione di vini di qualità.
Il secondo è relativo ad una questione più generale, che riguarda la politica agricola nazionale ed europea. Tutti i vini della vasta gamma di Casale del Giglio, quale che sia l’origine delle uve da cui provengono (autoctone, internazionali o anche tipiche di territori lontani), hanno un denominatore comune nella indicazione geografica “Lazio IGT”riportata in etichetta.
Secondo le logiche comunitarie, i marchi come questo dovrebbero rappresentare un valore aggiuntoper promuovere la specificità e le tradizioni di un territorio, ma forse è proprio per realtà innovative come Casale del Giglio che essi dimostrano tutta la propria inadeguatezza. Se infatti il loro valore è indiscutibile per territori di grande rinomanza - come Bolgheri, Montalcino, le Langhe, la Franciacorta o la Valpolicella – rimane tutta da dimostrare la loro efficacia quando, come in questo caso, a fare la differenza non è tanto il terroir, quanto piuttosto l’ingegno e l’intraprendenza umani.
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