La pizza fatta in casa, capitolo secondo.

Foodclubbersdom 29 dic 2019

Salvatore Kosta esperto in lievitati ci porta mano a mano verso la realizzazione di un'ottima pizza fatta in casa, quasi come in pizzeria.

Per chi si fosse perso il primo appuntamento lo trovate qui. Buona lettura.

Dove eravamo rimasti? Ah, si. Perché mettere l’impasto in frigo per poi riprenderlo dopo 24/36 ore? La risposta è scritta nella composizione della farina e nei vari processi di natura enzimatica e biologica che sopraggiungono quando uniamo alla stessa acqua, lievito e sale. Mi spiego meglio. La farina è composta essenzialmente da: amido (zucchero complesso) e proteine. Sono macromolecole, molto complesse e donano al nostro impasto struttura e nutrimento per i lieviti. Nello specifico le proteine, costituiscono l’impalcatura che dovrà sorreggere tutta la serie di gas che si formano e l’amido che rappresenta il cibo per i lieviti che introduciamo nell’impasto e che sono i produttori della CO2 (ma non solo). Ebbene, questi processi necessitano di tempo e più ne diamo a disposizione più la nostra pizza risulterà leggera ma soprattutto saporita. Perché? Semplice: perché le proteine, che hanno provveduto alla realizzazione dell’impalcatura, dovranno essere ridotte a strutture più semplici il che comporta minore difficoltà nella digestione e l’amido, affinchè possa essere utilizzato dai lieviti, dovrà, anch'esso, essere ridotto in strutture più semplici. Non solo ma entrambe le strutture semplificate rappresentano i precursori del gusto. Le proteine, insieme agli acidi (altro prodotto derivante dal lungo riposo in frigo), formano gli esteri (molecole aromatiche) e gli zuccheri che in cottura, attraverso il processo denominato Reazione di Maillard, danno quel gusto di cotto che tanto attira prima gli occhi e poi le papille gustative. Spero di avervi convinto della necessità di riporre il nostro impasto in frigo. Se no, potete fare così: lo stesso impasto, metà lo riponete in frigo e l’altra metà a temperatura ambiente. Vedrete l’enorme differenza in termini di gusto e leggerezza.

Capitolo impasto. Qui ci si gioca la riuscita del prodotto. Nasce tutto qui nel senso che se operiamo bene in fase di impasto abbiamo ottime possibilità di ottenere una buona pizza. Quali sono gli indizi che ci permettono di capire che il nostro impasto è perfetto? Innanzitutto la temperatura finale. È il caso che ci muniamo di un termometro a sonda. Dovremmo leggere, inserendo la sonda all’interno dell’impasto, valori tra 20/22 °C. Se andiamo oltre, e non abbiamo un frigo che ci consente di riportare i valori di temperatura nel range stabilito, rischiamo di accorciare i tempi di maturazione, a discapito della qualità del prodotto finale. Per tenere bassa la temperatura utilizziamo acqua fredda, da frigo, anche d’inverno. Secondo indizio è la struttura cioè come dovrà mostrarsi il nostro impasto, in gergo come capire che abbiamo raggiunto il famigerato “punto di pasta” che ci avviserà che dobbiamo fermarci e riporre il tutto nel frigo. Pare che ogni pizzaiolo abbia un proprio punto di pasta. Ad ogni modo raggiungere il punto di pasta vuol dire aver ottenuto, attraverso il mescolamento, la struttura viscosa ed elastica capace di sorreggere tutta una serie di reazioni di natura chimica e fisica che si attivano. Immaginate il punto di pasta come un palloncino correttamente gonfiato che, pur sottoposto a sollecitazioni ( entro certi limiti, s’intende) non cede.

Non ci resta che iniziare, io per ora vi do le quantità da utilizzare, poi al nostro prossimo incontro vi dirò come operare:

1 kg di farina forte (11/13 % proteine)

750 gr di acqua fredda

7 gr di lievito fresco

25 gr di sale

Salvatore Kosta

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