MOSAICO PER PROCIDA: QUANDO L’UNIONE FA LA FORZA (E LA QUALITA’)
Il vino è il prodotto che meglio di qualsiasi altro si presta a raccontare un territorio, perché è la sintesi delle caratteristiche dei terreni e dei climi da cui proviene e perché è capace di racchiudere in un bicchiere tradizioni antiche di secoli. Se governato da mani esperte, il vino può rappresentare però anche un sorprendente banco di prova per fare sperimentazione e diventare un formidabile veicolo di promozione territoriale.
Confesso di essere stato molto scettico, quando mi raccontarono che qualcuno, per festeggiare il riconoscimento di Procida come Capitale Italiana della Cultura 2022, si era messo in testa un’idea balzana: realizzare una bottiglia celebrativa a partire da frazioni enologiche provenienti da tutta la Campania.
Le ragioni del mio scetticismo erano sostanzialmente due:
- Come supereranno la proverbiale ritrosia di tante cantine dei diversi territori a collaborare fra loro, in una Regione in cui, tanto per fare un esempio, è maledettamente complicato persino far stare insieme in un unico stand al Vinitaly le aziende vinicole delle diverse province, che sostengono di non avere nulla in comune con le altre?
- Quale potrà mai essere il risultato finale di un blending fra vitigni così identitari e così profondamente diversi fra loro?
E invece si è compiuto un piccolo miracolo, grazie alla tenacia di un appassionato visionario come Gaetano Cataldo e alla competenza tecnica di un grande enologo come Roberto Cipresso.
I due sono prima riusciti a convincere ben 26 produttori campani a fornire campionature dei loro vini bianchi e hanno poi realizzato con le loro sole forze, senza ricorrere a fondi pubblici, un prodotto di assoluto pregio enologico, nel quale le fragranze dei vini delle fasce costiere fanno da apripista a una struttura importante, in larga misura frutto del contributo dei vini dei territori interni della Regione. Un blend in cui ognuno dei grandi vitigni bianchi della Campania svolge un ruolo fondamentale, così da assicurare al prodotto finale una armonia ed una gradevolezza insospettabili per una composizione così complessa.
Il risultato finale è un vino completamente diverso da quelli da cui nasce, e quindi capace di trovare una sintesi mirabile fra due fattori di richiamo apparentemente inconciliabili fra loro: la nobiltà delle origini e la curiosità per l’innovazione.
I risultati di questo lavoro sono stati talmente positivi che già Pesaro, destinata a succedere a Procida nel 2023 come Capitale della Cultura, e Monte di Procida, che l’anno prossimo sarà Capitale Europea dello Sport, si sono candidate a realizzare progetti analoghi.
Vediamo ora perché questa iniziativa merita di essere presa a modello per futuri progetti di promozione territoriale, e perché lo meriti ancora di più essendo stata realizzata al Sud.
In primo luogo, Mosaico per Procida ha clamorosamente smentito la tesi secondo cui al Sud non è possibile creare integrazione orizzontale fra produttori di diversa dimensione appartenenti alla stessa filiera, e quindi sostanzialmente concorrenti fra loro. Non solo, ma ha anche dimostrato nei fatti quanto grande può essere la capacità del vino di fungere da “compattatore” fra i vari attrattori che compongono l’offerta turistica di un territorio: natura, storia, cultura, gastronomia e servizi ricettivi.
In secondo luogo, questo progetto ha spiegato in modo definitivo che per promuovere davvero un territorio è molto più efficace concentrare le risorse su iniziative concrete, piuttosto che investire in banali campagne di comunicazione, basate su improbabili (e costosi) testimonial o su generici richiami a leggende antiche o a più o meno inutili “Patrimoni Immateriali” (come quelli della Dieta Mediterranea o dell’Arte del Pizzaiuolo Napoletano, tanto per fare degli esempi), che da soli non raccontano nulla di nuovo al potenziale turista.
La verità è che, per essere competitivo in chiave turistica, oltre a possedere ovviamente risorse fisiche e/o culturali di pregio, che al Sud abbondano un po’ dappertutto, un territorio deve essere capace di esprimere due altre valenze (che al Sud rappresentano invece i veri talloni d’Achille).
Il primo è il “capitale sociale” di cui il territorio dispone, ovvero la quantità e la qualità delle relazioni fra chi vi risiede e soprattutto fra i suoi operatori economici, perché se non c’è cooperazione e unità d’intenti fra i diversi “portatori d’interesse” dell’offerta turistica locale (albergatori, ristoratori, istituzioni, media, ecc.) diventa impossibile proporre un prodotto turistico chiaro e coerente in tutte le sue sfaccettature, e quindi non si va da nessuna parte.
L’altro è la capacità del territorio di fare vera innovazione, ovvero di impegnarsi costantemente ad arricchire tutto ciò che già esiste (il paesaggio, la storia, la cultura, la biodiversità) con proposte nuove. Perché in un’era come questa, in cui le informazioni circolano a velocità pazzesca, i miti del passato da soli servono davvero a poco.
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