Mozzarella di Gioia del Colle dop? È un pasticcio tutto italiano
di Antonio Lucisano
Ci sono piccole storie che passano inosservate, ma che invece, a saperle leggere, spiegano perché da noi le cose funzionano al contrario di come dovrebbero.
Spiegano per esempio come il tanto sbandierato Made in Italy sia in realtà poco più di uno slogan, che le nostre istituzioni non sono minimamente in grado di tutelare.
Spiegano come manchi in questo Paese la più elementare conoscenza dei fondamenti del marketing, mentre invece prospera la logica sgangherata del “c’è posto per tutti” e dell’affidamento al TAR di controversie che ben altri soggetti, più attrezzati e professionali di questo, dovrebbero dirimere.
E poi anche quanto grande sia la nostra distanza culturale dall’Europa e dalle sue regole, e quanti danni faccia l’incapacità dei piccoli produttori e delle loro associazioni professionali, soprattutto al Sud, di elaborare strategie in grado di valorizzare l’enorme patrimonio di tradizioni e di biodiversità di cui, malgrado tutto, continuiamo a disporre.
È l’estate del 2017 quando una associazione pugliese, dal nome “Treccia della Murgia”, chiede ed ottiene dalla Regione Puglia di avviare per il proprio formaggio fresco vaccino a pasta filata il processo di riconoscimento europeo della Denominazione d’Origine Protetta: ma non come “treccia” o “fiordilatte”, come il buonsenso avrebbe suggerito per smarcarsi da altri formaggi freschi similari, ma come “Mozzarella di Gioia del Colle”.
La scelta provoca molte polemiche da parte di chi si permette di rilevare che una denominazione del genere ingenererebbe inevitabilmente confusione sul mercato, soprattutto a danno dell’unica importante DOP del Mezzogiorno: quella della Mozzarella di Bufala Campana, che già fattura oltre 500 milioni di Euro. Il Consorzio dei produttori campani presenta quindi ricorso al Ministero delle Politiche Agricole, come previsto dalla procedura di riconoscimento dei marchi ad Indicazione Geografica. Ma non per bloccare l’iniziativa dei colleghi pugliesi: semplicemente per invitarli a scegliere per il proprio prodotto un nome diverso da “mozzarella”.
Da più parti nel mondo politico (a cominciare dallo stesso Ministero) si alza allora una levata di scudi contro la presa di posizione dei trasformatori di latte bufalino, accusati di ostacolare senza ragione l’ottenimento della denominazione pugliese. La tesi è sostanzialmente, sul solco della miglior demagogia italiana, che “più siamo, più rumore facciamo”: una argomentazione che qualunque professionista del marketing, che sa bene quanto siano importanti l’univocità e la riconoscibilità di un marchio sul mercato, considererebbe semplicemente blasfema.
Il risultato è che l’opposizione viene puntualmente respinta nella primavera del 2018 dal TAR del Lazio, una istituzione che, come è noto, sentenzia su tutto e il contrario di tutto, anche quando non ha alcuna competenza nel valutare il merito e le conseguenze dei propri verdetti.
A questo punto il Ministero procede spedito nel presentare formale richiesta di riconoscimento della nuova denominazione a Bruxelles.
Il 21 ottobre 2019 i media annunciano, con la consueta superficialità, che la nuova DOP è ormai cosa fatta, visto che la richiesta pugliese è stata pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale Europea. Dimenticano però che da quel giorno decorrono in realtà i fatidici 90 giorni previsti dalla procedura comunitaria per consentire a chiunque si ritenga danneggiato da questo eventuale riconoscimento di sollevare opposizione alla nuova denominazione proposta.
Proprio allo scadere di questo termine, quando ormai nessuno più se lo aspetta, accade invece il fattaccio: non potendo più opporsi i produttori italiani, messi in condizione di non nuocere dalla sentenza del TAR, a farlo sono alcuni produttori della Baviera, preoccupati dalla confusione che, a loro avviso, la nuova denominazione avrebbe creato nel consumatore, considerato che anche da loro si produce già un formaggio che viene chiamato mozzarella, seppure di qualità ben distante da quella italiana. Non solo, ma gli opponenti ricordano beffardamente all’UE che esiste già una analoga denominazione registrata, per giunta su iniziativa italiana: la “Mozzarella STG”.
Risultato: grazie ai Bavaresi il riconoscimento della nuova denominazione si blocca, ed è quindi presumibile che ora i produttori pugliesi dovranno modificarla: né più e né meno di quello che era stato richiesto in Italia, ma che sia il Ministero che il mitico TAR del Lazio avevano sdegnosamente rigettato.
E qui bisogna fare un passo indietro, per spiegare cosa sono le STG. Le Specialità Tradizionali Garantite sono denominazioni concesse a quei prodotti che, pur non vantando particolari legami con il territorio d’origine, come accade invece per le DOP e le IGP, sono frutto di modalità di processo tradizionali che vengono appositamente descritte in un Disciplinare, in modo da permettere a chiunque, senza vincoli territoriali, di realizzarli, in conformità con quel protocollo.
Fra tutti i marchi di tutela europei, la STG è di gran lunga il meno noto ed importante. Non solo dal punto di vista quantitativo, con appena 62 marchi riconosciuti (di cui solo 2 su iniziativa italiana: l’altro è la Pizza Napoletana), a fronte delle oltre 3.300 Indicazioni Geografiche registrate ad oggi, ma soprattutto da quello economico, in quanto proprio la mancanza di un collegamento con il territorio rende di fatto il marchio poco attrattivo per i produttori, a cui viene a mancare il fondamentale requisito della esclusiva territoriale.
Perché l’Italia abbia proposto a suo tempo la registrazione di questo marchio, liberalizzando di fatto l’uso del termine “mozzarella”, che sarebbe dovuto rimanere invece patrimonio esclusivo delle regioni del Mezzogiorno dove era nato (al pari di quanto era stato fatto per Grana Padano, Parmigiano Reggiano, Aceto Balsamico e per tante altre denominazioni d’origine del Nord Italia), può apparire come uno dei tanti nostri misteri buffi.
È invece solo uno degli esempi di autolesionismo del Bel Paese, già distintosi in passato per aver consentito, per esempio, che si registrasse come “Provolone Valpadana DOP” un altro prodotto-simbolo dell’agroindustria del Sud.
Antonio Lucisano , già Direttore del Consorzio Mozzarella di Bufala Campana Dop, è esperto di management aziendale nel settore agroalimentare.