Pillole di Riso ep. 3: varietà di Riso coltivate in Italia

Gerardo De Santosab 3 apr 2021

Principali varietà/cultivar

Ripartendo dal dato riguardante il totale della superficie italiana coltivata a riso nel 2019 e cioè di 220.027 ettari, vediamo più in dettaglio come è ripartita la superficie coltivata per singole varietà:

Qui di seguito il grafico con la rappresentazione in percentuale:

Il dato che salta subito all'occhio è che tra le prime dieci varietà più coltivate non abbiamo le quelle considerate da “risotto” ed iscritte nel Registro Varietale presso l’Ente Risi (che vedremo più avanti in dettaglio), ma al primo posto c’è il” Selenio” che è tipicamente un riso classificato "tondo" da sushi e poi abbiamo delle varietà contrassegnate con l’acronimo finale “CL” che sta per “Clearfield” (una rivoluzionaria agro-tecnologia americana rivoluzionaria che permette un efficace controllo del riso “crodo” e di molte altre infestanti dannose, ma di cui accenneremo dopo in altro articolo) come Mare CL (riso tipo lungo B), Sole CL (riso tipo Tondo), Luna CL (RIBE tipo lungo A parboiled).

La prima cultivar facente parte della griglia delle varietà iscritte al registro varietale (che vedremo nel prossimo articolo) è il “Volano”, cultivar della varietà storica più nota e storica “Arborio”; la varietà che i più di Voi conosceranno, ossia il “Carnaroli” lo troviamo sono all'undicesimo posto.

Da questi dati può sorgere spontanea una domanda e cioè: "come mai le varietà da “risotto” non sono tra quelle più coltivate anche se più conosciute?"

Beh, la risposta può essere allo stesso tempo chiara ma sorprendente e curiosa: perché le varietà da risotto italiane non sono tra quelle esportate all'estero, se non in una bassissima percentuale, in quanto non rientrano nei canoni di gradimento stranieri. Il motivo di ciò è da addursi alla “perlatura” del chicco che, mentre per noi in Italia è un pregio, per gli stranieri è un difetto, in quanto gradiscono chicchi di riso cristallini o comunque non opalescenti.

I dati sopra esposti, ci indicano pertanto che le varietà più coltivate in Italia sono quelle destinate all'esportazione perché sono quelle cristalline e/o aromatiche gradite e ricercate dal mercato estero. In un certo senso questi dati sono sinonimo di una certa dose di “fortuna” per noi italiani, in quanto esportiamo ben oltre il 66% del riso coltivato in Italia ed il restante, ovvero quello che noi gradiamo maggiormente, ci rimane per realizzare i risotti che tanto ci piacciono.

Risi speciali

Per quanto riguarda i Risi Speciali italiani e mi riferisco quelli “pigmentati ovvero i neri, i rossi, gli aromatici, la superficie di coltivazione totale pari a 2081 ha ossia lo 0,95% del totale della superficie coltivata a Riso ed è così suddivisa:

Qui di seguito il grafico con la rappresentazione in percentuale:

Marchi di Riso DOP ed IGP e differenze

In Italia il Riso può fregiarsi di 1 marchio DOP e di 2 IGP che contraddistinguono le aree geografiche come vedete nell’immagine di cui sopra.

Ritengo molto importante entrare più in dettaglio di questo argomento, perché ho constatato che sono ancora molti i produttori e/o consumatori che hanno poca dimestichezza con i marchi che distinguono i prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e quelli ad Indicazione Geografica Protetta (IGP), non solo riguardo al prodotto Riso.

Si tratta di marchi di qualità, rilasciati dall’UE su proposta del Ministero delle politiche agricole e forestali, a fronte di un’istruttoria preliminare molto accurata e dell’impegno di tutti i produttori interessati a sottoporsi al successivo costante controllo di un ente terzo di certificazione.

La DOP

La “Denominazione di Origine Protetta” (DOP) nasce nel 1992 grazie al Regolamento CEE 2081/92 della UE, ed è valida solamente per i prodotti agroalimentari (vini e bevande alcoliche esclusi); è un marchio di tutela giuridica della denominazione che viene attribuito - solitamente per legge - a quegli alimenti le cui peculiari caratteristiche qualitative dipendono essenzialmente o esclusivamente dal territorio in cui sono prodotti. L'ambiente geografico comprende sia fattori naturali (clima, caratteristiche ambientali), che fattori umani (tecniche di produzione tramandate nel tempo, artigianalità) i quali, se combinati insieme, consentono di ottenere un prodotto inimitabile al di fuori di una determinata zona produttiva. Affinché un prodotto sia DOP, le fasi di produzione, trasformazione e confezionamento devono avvenire in un'area geografica delimitata, per garantire la tracciabilità e il legame con il territorio, valori irrinunciabili della DOP.

Nel 2006, il Comitato Scientifico DOP, IGP, STG della Commissione Europea per il riso di Baraggia Biellese e Vercellese “ha potuto constatare l’eccezionale specificità della zona di produzione”. Il 21 Agosto 2007 la Commissione Europea ha inserito il riso di “Baraggia” biellese/vercellese" nel registro delle DOP (vi parlerò della Baraggia in un articolo ad hoc).

Pillola di curiosità: e pensare che l’etimologia della parola “baraggia” è di origine celtica e significa “terreno da cui non possono che nascere rovi”, in quanto la Baraggia era considerata fino ancora agli inizi del secolo scorso, una zona improduttiva e classificata come una delle otto aree italiane maggiormente depresse; ed invece da pochi decenni cresce rigoglioso e resistente l’unico Riso DOP europeo.

Le IGP

Il termine “Indicazione Geografica Protetta” (IGP) è un marchio di tutela giuridica dell’indicazione geografica che viene attribuito a quei prodotti agricoli e alimentari per i quali una determinata qualità, la reputazione o un'altra caratteristica dipendono dall'origine geografica, e la cui produzione, trasformazione e/o elaborazione avviene in un'area geografica determinata. Per ottenere la IGP, quindi, almeno una fase del processo produttivo deve avvenire in una particolare area.

Pertanto, concludendo il Riso di Baraggia vercellese biellese è considerato DOP perché i processi di coltivazione produzione trasformazione e confezionamento avvengono tutti la stessa area, mentre per la IGP del Riso del veronese o del Delta del Po non necessariamente tutte le fasi produttive avvengono in quella determinata area. Come altro esempio di differenza tra DOP ed IGP ed al di fuori del mondo Riso può essere la Bresaola della Valtellina che è pertanto IGP e non DOP perché ottenuta da carni di animali che non sono allevati in Valtellina, pur seguendo i metodi di produzione tradizionali e beneficiando, nel corso della stagionatura, del clima adatto.

Alla prossima Pillola di Riso!

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