Siamo certi di saper fare differenza tra caro e costoso? Sicuri di conoscere esattamente quanto dovrebbe costare un cibo?
How boring! – Sicuri di conoscere esattamente quanto dovrebbe costare un cibo?
Bentornati ne L’Inclemente, che prova a cambiare giorno. Ci spostiamo di giovedì, per spezzarvi la monotonia settimanale e dare quel pizzico di sale e discussione prima del weekend. Come si dice dalle mie parti, bone fatte feste!
La scorsa domenica abbiamo terminato il capitolo dolci pasquali: l’abbiamo toccata in tutte le dimensioni e – siccome siamo molto attenti – abbiamo notato che un certo numero di persone si è lamentato dei prezzi considerevoli di certi prodotti, soprattutto quelli lievitati.
Vi tranquillizzo sin da subito: non ricomincio a parlare di colombe, ché son diventata una faraona al forno; ma colgo il pretesto della palomma per introdurre un argomento di cui parlo da anni – solitamente sulla mia testata madre, Dissapore – ma che penso sia giusto introdurre anche qui: siamo davvero sicuri di pagare il cibo realmente per il suo valore reale? E siamo davvero sicuri – come faceva notare un lettore molto attento – di conoscere davvero la differenza tra un cibo caro ed un cibo costoso?
Utilizzo quello che chiamo il “pretesto palomma” perché il commento più comune è stato, suppergiù: questi sono pazzi, ci fanno pagare un dolce 25-30 euro. Quando poi mi dovete spiegare una buona torta da ricorrenza di circa otto porzioni quanto la pagate…
Il problema è che siamo stati abituati a pagare poco cibi e prestazioni che invece meriterebbero ben altra considerazione. Da pochissimo – e nemmeno per tutti – siamo riusciti a sdoganare le pizze che vanno dai 10 euro a salire; per molti altri prodotti la strada ne ha ancora da salire e ci sono due esempi che voglio brevemente trattare: il prezzo e la cultura del caffè ed il prezzo e la cultura del cacao/cioccolato.
Un paio d’anni fa, mi occupai di una piccola inchiesta riguardo il prezzo del caffè; il quadro che ne uscì fu disarmante. Le indagini di Altromercato riportano che meno del 10% del prezzo del caffè resta al produttore iniziale (ricordiamoci: il caffè non si fa a Casavatore, ma viene coltivato ad altre temperature, quindi viene pagato un altro prezzo, quindi il monopolio resta nelle mani dei latifondisti e degli esportatori), quindi per avere la famosa tazzina – che al 90% dei casi, puzza di rancido – a 0,90 centesimi/1,00 euro… fatevi il conto voi di quanta gente, fino all’anello finale del banconista che lo serve, ci finisce sotto.
Altro giro, altra questione: il cioccolato. Siamo così abituati a mangiare prodotti che hanno come ingrediente predominante il burro di cacao e la vanillina che non conosciamo quasi il gusto vero del cacao: non ne riconosciamo i sentori acidi, la frutta tropicale, non sappiamo niente o quasi del cacao vero, essendo praticamente stonati da prodotti che sovente costano tanto e valgono poco.
Nessuno vuole mettere in dubbio il gusto e la gioia sana ed infantile di ricevere un prodotto pacioccone: fa parte della nostra memoria gustativa, del nostro vissuto. Ma dovremmo essere, al contempo, “consumatori adulti” e capire che esistono altri prodotti e non disprezzarne il prezzo diverso.
Prezzo diverso? Ne siamo proprio sicuri? Andiamo a vedere più da vicino questa cosa, facendovi un esempio molto vicino e facile.
Ad oggi, un uovo Kinder (di quelli regalati ai vostri affetti, piccini e grandi) di 150 grammi su Amazon costa 23,99 euro; il che significa 159 euro circa al chilo. Quindi, pensateci due volte prima di lamentarvi di una barretta di un cinquanta grammi dal costo di cinque euro e che magari vi fa affacciare su un’esperienza diversa del cioccolato…
Perché accade ciò? Non voglio incolpare sempre l’informazione gastronomica, perché tra un fosso e l’altro, esistono ottime testate che aiutano le persone a districarsi: prendiamo come esempio testate del tipo Il Fatto Alimentare, prendiamo il Salvagente.
A volte è proprio menefreghismo del consumatore a voler considerare sempre giusto un caffè rancido da un euro ed un dolce da 2,50 euro per otto persone, reputando ad esempio lo specialty coffee da 3 euro e la colomba da 30 euro delle fregature. E, per quanto noi operatori dell’informazione possiamo aiutarli, non siamo samaritani ed ogni tanto girano anche a noi.
Avete dubbi sul reale costo di qualcosa? Avete il sentore che un produttore ci stia praticamente “azzuppando” dietro il sounding “artigianale”? Chiedete, confrontatevi: le piattaforme non mancano, in primis il gruppo Foodclubbers (è pubblicità? Sì, dai, ma di quella buona): il consumatore consapevole è un consumatore libero di fare qualunque scelta, non importa se condivisibile o meno dagli altri. Una scelta personale, felice.
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