WINE DISASTER No.4 - Il mistero del "vino della casa"
In vino veritas? Non sempre! In questo mondo fatto di misteri, si annidano diverse insidie anche attorno al vino.
Partiamo dalle origini: seppur non del tutto verificate ed in costante diatriba su chi detenga il primato, in pochi sanno che la nascita del vino è contesa tra Cina, Georgia ed Armenia. E noi italiani? Dobbiamo ahinoi accontentarci di tracce risalenti ad “appena” 6000 anni fa, abbassando la cresta per l’ennesima volta davanti ad un’invenzione che arriva da Oriente.
Ma se non siamo i primi, cosa ci rende così speciali nella produzione di vino? Sicuramente la presenza di oltre 600 varietà autoctone contribuisce al successo del vino italiano, eppure, navigando tra le DOC e DOCG comprese tra le venti Regioni, esiste e resiste un vino conosciuto da tutti, consumato da tanti ma chiaro a pochi: il vino del contadino.
Come la Coca-Cola, affascina milioni di consumatori grazie alla sua “ricetta segreta”, ma a differenza del colosso americano, non ha mai investito in campagne pubblicitarie. Genio incompreso o male assoluto, a cosa si deve questo inspiegabile successo?
Bottiglione in vetro grezzo, talvolta in PET, spoglio da qualsivoglia etichetta o informazione, tappo solo su richiesta e riflessi da aurora boreale: no, il packaging non è decisamente il suo punto forte. Potrebbe però essere proprio questa semplicità la sua benedizione. Conosciuto in ambienti cosmopoliti col nome di house wine, alias “vino della casa”, è tutt’ora la scelta di chi vuol dispensare da etichette o ricarichi e vuole bere genuino.
Come si suol dire, è qui che casca l’asino. Dimenticate i ricordi d’infanzia e l’immagine di un’Italia rurale, quel contadino è scomparso dinnanzi all’ascesa del wine business ed anche il vostro oste di fiducia, audace e machiavellico, deve far quadrare i conti del proprio locale.
Non un vero e proprio furto, o perlomeno non delle dimensioni della Gang del metanolo, ma pur sempre un escamotage, eccovi spiegato cos’è il tanto agognato vino della casa: il più economico, il più imbottito di solfiti o il più annacquato tra i vini da potervi servire.
Colpa dell’oste o del contadino? Sicuramente di entrambi, ma anche un po’ nostra, in quanto responsabili di questa anacronistica richiesta, complici nel pretendere dai locali una bevanda a prezzi che strozzano il sistema.
Vogliamo davvero sostenere l’Italia rurale? Tutto parte dalla conoscenza e la formazione, la stessa che ci insegna che un vino realmente naturale non esiste, in quanto senza l’intervento dell’uomo la spremitura dell’uva può solamente trasformarsi da mosto in aceto.
Per i locali, invece, le soluzioni sono molteplici, anche vantaggiose. Allontanandosi dalla “società dei magnaccioni” di Lando Fiorini, da coloro che nel vino mettevano l’acqua per intenderci, sono a loro disposizione varie alternative al classico vino soffiato in bottiglie da 750ml: mai sentito parlare di bag in box?
Avanti società dei consumi, fate la vostra scelta consapevole. Lunga vita al contadino e agli attori della filiera enoica italiana, ma attenzione ai lestofanti del “non avrai altro vino all’infuori di me”.