WINE DISASTER No.4 - Il mistero del "vino della casa"

Nello Gattisab 28 nov 2020

In vino veritas? Non sempre! In questo mondo fatto di misteri, si annidano diverse insidie anche attorno al vino.

Partiamo dalle origini: seppur non del tutto verificate ed in costante diatriba su chi detenga il primato, in pochi sanno che la nascita del vino è contesa tra Cina, Georgia ed Armenia. E noi italiani? Dobbiamo ahinoi accontentarci di tracce risalenti ad “appena” 6000 anni fa, abbassando la cresta per l’ennesima volta davanti ad un’invenzione che arriva da Oriente.

Ma se non siamo i primi, cosa ci rende così speciali nella produzione di vino? Sicuramente la presenza di oltre 600 varietà autoctone contribuisce al successo del vino italiano, eppure, navigando tra le DOC e DOCG comprese tra le venti Regioni, esiste e resiste un vino conosciuto da tutti, consumato da tanti ma chiaro a pochi: il vino del contadino.

Come la Coca-Cola, affascina milioni di consumatori grazie alla sua “ricetta segreta”, ma a differenza del colosso americano, non ha mai investito in campagne pubblicitarie. Genio incompreso o male assoluto, a cosa si deve questo inspiegabile successo?

Bottiglione in vetro grezzo, talvolta in PET, spoglio da qualsivoglia etichetta o informazione, tappo solo su richiesta e riflessi da aurora boreale: no, il packaging non è decisamente il suo punto forte. Potrebbe però essere proprio questa semplicità la sua benedizione. Conosciuto in ambienti cosmopoliti col nome di house wine, alias “vino della casa”, è tutt’ora la scelta di chi vuol dispensare da etichette o ricarichi e vuole bere genuino.

Come si suol dire, è qui che casca l’asino. Dimenticate i ricordi d’infanzia e l’immagine di un’Italia rurale, quel contadino è scomparso dinnanzi all’ascesa del wine business ed anche il vostro oste di fiducia, audace e machiavellico, deve far quadrare i conti del proprio locale.

Non un vero e proprio furto, o perlomeno non delle dimensioni della Gang del metanolo, ma pur sempre un escamotage, eccovi spiegato cos’è il tanto agognato vino della casa: il più economico, il più imbottito di solfiti o il più annacquato tra i vini da potervi servire.

Colpa dell’oste o del contadino? Sicuramente di entrambi, ma anche un po’ nostra, in quanto responsabili di questa anacronistica richiesta, complici nel pretendere dai locali una bevanda a prezzi che strozzano il sistema.

Vogliamo davvero sostenere l’Italia rurale? Tutto parte dalla conoscenza e la formazione, la stessa che ci insegna che un vino realmente naturale non esiste, in quanto senza l’intervento dell’uomo la spremitura dell’uva può solamente trasformarsi da mosto in aceto.

Per i locali, invece, le soluzioni sono molteplici, anche vantaggiose. Allontanandosi dalla “società dei magnaccioni” di Lando Fiorini, da coloro che nel vino mettevano l’acqua per intenderci, sono a loro disposizione varie alternative al classico vino soffiato in bottiglie da 750ml: mai sentito parlare di bag in box?

Avanti società dei consumi, fate la vostra scelta consapevole. Lunga vita al contadino e agli attori della filiera enoica italiana, ma attenzione ai lestofanti del “non avrai altro vino all’infuori di me”.

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