Franco Pepe e AIRC presentano la Pizza Mediterranea: quando buono e sano non sono più inconciliabili
Franco Pepe e le 7 pizze della dieta mediterranea con Federico II e Università di Brescia validate dall’AIRC
Nel 1997, l’UNESCO, che fino ad allora si era preoccupata di tutelare esclusivamente beni tangibili (città, siti archeologici, parchi naturali, ecc.), decise di dar vita anche ad una lista di patrimoni immateriali, in modo da salvaguardare le grandi tradizioni rappresentative del bagaglio culturale dei popoli.
Come è noto, nel 2010 questo privilegio toccò alla Dieta Mediterranea e appena 7 anni dopo all’Arte del Pizzaiolo Napoletano.
Entrambi questi momenti furono salutati a Napoli come grandi conquiste della prestigiosa tradizione gastronomica del Mezzogiorno, ma ai festeggiamenti iniziali, come spesso accade da queste parti, non hanno poi fatto seguito progetti in grado di mettere veramente a frutto questi riconoscimenti, come ci si sarebbe potuto aspettare. Non solo, ma il secondo sembra essersi trasformato addirittura in un boomerang, considerato che fra gli addetti ai lavori non si è creato quello spirito di squadra che tutti auspicavano e fra loro il clima è diventato ancora più caldo e (inutilmente) competitivo di quanto non fosse in precedenza.
C’è però ora chi si è messo in testa un’idea solo apparentemente balzana: mettere in sinergia l’abilità del pizzaiolo con le competenze scientifiche necessarie a rendere la pizza napoletana coerente con i principi della Dieta Mediterranea, così da trasformarla da piatto semplicemente buono, ma obiettivamente un po’ trasgressivo dal punto di vista dietetico, a piatto anche sano ed equilibrato, rispettoso dei requisiti nutrizionali ritenuti essenziali per prevenire obesità e patologie cronico-degenerative, a cominciare dai tumori.
Come è noto, già da tempo si è provato ad andare verso questi obiettivi attraverso l’utilizzo di farine meno raffinate delle classiche 00 o 0, in modo da arricchire il contenuto in fibre alimentari degli impasti. Questa soluzione presenta però alcuni limiti oggettivi, sia perché non risolve il problema della carenza di oligoelementi freschi nel prodotto finale, sia perché modifica in modo sensibile la texture della pizza, sia ancora perché si presta poco ad essere utilizzata quando il topping è costituito da ingredienti dal gusto delicato, sui quali quello delle farine integrali finisce inevitabilmente per prevalere.
“Se volete stare bene non venite da me. Andate dal medico. Io non mi occupo della vostra digestione” aveva avventatamente affermato una volta il grande Paul Bocuse, tradendo clamorosamente i principi del decalogo della Nouvelle Cuisine che lui stesso aveva firmato nel 1973. Oggi non ripeterebbe di sicuro quelle parole, considerato quanto è aumentata la sensibilità della gente su questi temi.
Ne è una dimostrazione l’iniziativa “Pizza Mediterranea“, presentata l’altro ieri a Napoli, presso la Fondazione Salvatore, da Franco Pepe e dall’AIRC – l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro, assieme, fra gli altri, al patron di Identità Golose, Paolo Marchi, ed al Rettore della Federico II, Matteo Lorito.
Quali sono i punti deboli della pizza napoletana rispetto ai dettami della Dieta Mediterranea?
Da una parte l’eccessivo contenuto di carboidrati e, dall’altra, la carenza di fibre alimentari e di verdure crude, senza le quali vengono a mancare i necessari apporti di vitamine, sali minerali e sostanze antiossidanti.
E come si possono colmare questi punti deboli?
Anzitutto riducendo la dimensione del panetto di pizza a 200 gr e rivedendo la composizione del piatto, in modo da far sì che l’apporto calorico provenga per non più del 55-60% dai carboidrati, per il 15-20% dalle proteine e per il restante 25-30% dai grassi. E poi anche assicurando, quando necessario, la presenza dei micronutrienti, per esempio con l’aggiunta nel piatto di una insalata fresca preparata con scarola, arance e semi di zucca, oppure con arance, olive e lupino gigante di Vairano. Il piatto è poi completato con una ciotolina di dressing a base di olio e spezie mediterranee, in cui intingere l’eventuale avanzo di cornicione rimasto nel piatto, in modo da ridurne il carico glicemico (ed evitare gli sprechi).
Ecco allora le 7 proposte di Franco Pepe, elaborate in collaborazione con la Federico II e con l’Università di Brescia e validate dall’AIRC come preparazioni in linea con le proprie raccomandazioni nutrizionali, che vengono presentate in piatti appositamente progettati per corredare la pizza con le aggiunte di cui sopra:
- La “Ritrovata”, con acciughe, passata di S. Marzano, pacchetelle di Piennolo del Vesuvio, olive e capperi disidratati, olio EVO all’aglio e basilico cristallizzato;
- La Margherita DOP;
- La “Orto del Giorno”, con fiordilatte e misto di ortaggi;
- Il Calzone, con scarola riccia, acciughe, capperi e olive nere;
- La “Memento”, con crema di cipolle di Alife, crema di ceci caiatini e cicoria selvatica;
- La “Sud Estate”, con mozzarella e ricotta di bufala DOP, tonno alletterato, sedano, pomodoro confit, pepe, olive disidratate e olio EVO al limone;
- La “Bilanciata”, con carciofi marinati e in crema, lupino gigante di Vairano e semi di zucca.
Oltre al valore simbolico rappresentato dalla sensibilizzazione del pubblico e degli stessi pizzaioli verso modelli di consumo più consapevoli e salutari, il progetto si pone anche un obiettivo molto tangibile.
A partire dal 30 gennaio e per tutto il 2022, la pizzeria Pepe in Grani riserverà agli eventi che verranno messi in calendario dall’iniziativa un numero di 40 coperti per sostenere le attività di ricerca sul cancro, con un contributo variabile da 1 a 3 € da devolvere all’AIRC per ogni pizza venduta fra le 7 elencate più sopra.
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