Franco Pepe portavoce di 500 imprenditori SAC in Regione: "Ai piccoli chi ci pensa?"
Franco Pepe, portavoce dei 500 imprenditori SAC del Sannio e alto casertano, è intervenuto in Regione Campania
Caos. È questa la sola parola che mi viene in mente pensando a tutto quello che stiamo vivendo e alla gestione della situazione che ne deriva. Ci troviamo nel caos di uno scenario ormai in sovraccarico di incertezze e disattenzioni che, proprio per il malessere e il senso di abbandono scaturiti da un governo che troppe volte ha peccato di superficialità in questi mesi, ha dato input a sommosse e rivolte, partite da Napoli ma in tutto il territorio nazionale, fino a poco più di una settimana fa.
Proprio in quei giorni, mentre si protestava davanti a Palazzo Santa Lucia, la sede degli uffici della Regione Campania, una rappresentanza dell’associazione SAC, l’associazione costituita da 500 imprenditori del settore enogastronomico e della ristorazione del Sannio e Alto Casertano, si apprestava ad essere ricevuta al tavolo delle istituzioni per muovere una rivolta più silenziosa ma fondata sugli stessi punti cardine: essere ascoltati ed essere sostenuti.
Il presidente della SacChristian Colella, il portavoce Franco Pepe, il responsabile Sac Marco Dell’Ungaro e il consulente finanziario Errico Formichella di Sef.
Tra le persone presenti c’era Franco Pepe, il portavoce della SAC, che come prima cosa mi ha detto “se si vuole il bene del territorio, è proprio di esso che ci si deve occupare”. Caiazzo è un comune dell’alto casertano legato ad una storia così ricca e intensa che gli ha donato l’appellativo di città, una attribuzione puramente onorifica e morale, che ne sottolinea la funzione come entità distinta dalla campagna circostante, come complesso urbano vivo e vitale. E Caiazzo è anche la sede di Pepe in Grani, la pizzeria che è più di una pizzeria, la pizzeria dove si fa la pizza migliore del mondo, la pizzeria che è il simbolo di un territorio, pizzeria che di quel territorio ne ha fatto rinascita e valorizzazione.
E che fine fanno queste eccellenze del nostro territorio che per caso, per volere o per destino si trovano in provincia, nell’entroterra?
Franco è uno che ha fatto del suo territorio l’ingrediente segreto (e mica poi tanto) del suo successo, perché si è lasciato muovere dalla passione, dalla crescita, dalla curiosità, dalla cultura e dalla tradizione. La pizzeria era all’inizio il suo secondo lavoro, il servizio ai tavoli era riservato alla sera. Nel 2012 esplode la necessità di fare qualcosa che fosse vera maturazione e potendo scegliere qualunque luogo, Franco sceglie Caiazzo, la sua Caiazzo. Il suo palazzetto del ‘700 è diventato il tempio della pizza, dove tutto si svolge con meticolosità, attenzione a tutto ed a tutti. E la giustezza di una margherita sbagliata, di un attento studio, della differenziazione tra ogni comparto così da avere il meglio in tutto hanno portato Pepe in Grani a specializzarsi in ogni dettaglio. E ad oggi Franco Pepe, ancora una volta, potrebbe scegliere di andare ovunque con la sua Pepe n Grani ma sceglie Caiazzo, la sua Caiazzo.
Pepe in Grani e Franco Pepe portano a Caiazzo 12-13mila persone al mese. Parliamo di turismo, di posti di lavoro, di moneta che si muove e di economia che gira, di cultura che viene diffusa non solo sui piatti ma anche al di fuori. E come Franco tanti e tanti altri imprenditori, ristoratori e produttori; come Caiazzo, tutto l’alto casertano ed il Sannio che hanno da offrire luoghi da visitare, grandi produzioni di materia prima, ricchezza enogastronomica e abbondanza formativa. I prodotti, gli imprenditori, i locali, tutte eccellenze che caratterizzano una zona che da troppo tempo viene guardata con superficialità e leggerezza, una zona che da sempre combatte una battaglia contro l’indifferenza e la sensazione di essere sottovalutata e che ad oggi si aggiunge alla crisi economica che si sta abbattendo su tutto il mondo della ristorazione ma forse per questa zona un po' di più. Una zona che ben prima di ordinanze e normative si è trovata di fronte l’ostacolo della provincia e del provincialismo. Una zona che già senza colore portava il peso di una indifferenza che, grandi e piccoli imprenditori, in tutti i modi hanno cercato di sovvertire.
“In un momento tanto importante, in un momento in cui c’era bisogno di fare cose serie, di agire, noi siamo stati ABBANDONATI!”- queste le parole di Franco Pepe, in qualità di portavoce dell’associazione SAC.
Franco parla a nome di ben 500 pubblici esercizi che fanno parte dell’associazione SAC, 500 pubbliche attività, 500 imprenditori del settore enogastronomico e della ristorazione del Sannio e dell’Alto Casertano che stanno subendo le scelte delle istituzioni.
La Sac ha delle richieste ben precise: vuole concretezza, vuole un posto ai tavoli tecnici, vuole prendere parte al processo decisionale, vuole un rappresentante all’interno dei dialoghi diretti con la Regione, il Governatore e gli uffici o la Task Force, per questioni inerenti il settore ristorazione in Campania e soprattutto nell’Entroterra partendo dalla Regione per arrivare ad essere ascoltati a livello centrale.
È evidente la necessità di un filo conduttore fisso tra Entroterra e Regione e SAC vuole creare esattamente questo: sia per potersi esporsi nella richiesta di misure di intervento economiche, giuste e immediate che siano a supporto di una zona troppo poco considerata, ma anche allo scopo di rispettare la dignità e la sopravvivenza dei propri associati portando alta la loro voce, partecipando a mantenere attiva una filiera impressionante di uomini e famiglie che non vogliono abbandonare la propria storia e realtà e nemmeno illudere i propri clienti e amici con orari di apertura e chiusura difficilmente comprensibili.
Il territorio di cui parliamo subisce lo sfavore della mancanza di attenzione per una zona in cui è complicato continuare a svolgere le attività alle condizioni che il governo offre. Parliamo di posti che anche per posizione geografica hanno un’attitudine a richiamare clienti a cena soprattutto e permettergli di stare aperti fino alle 18 è già un velato invito a chiudere. Se a questo poi aggiungiamo l’impossibilità di muoversi tra province diverse, grazie all’ordinanza della Regione Campania, beh, parliamo di condanna alla chiusura.
Ci troviamo di fronte ad una situazione che è un enorme controsenso.
Siamo tutti d’accordo che probabilmente la Campania non era da inserire nella Zona Gialla, ma a conti fatti se lo Stato ci tratta da gialli e la Regione ci tratta da rossi, non ci sono proprio le basi né per essere messi in condizione di lavorare né per non farlo.
“Davanti ad ogni cosa bisogna sempre mettere la sicurezza sanitaria ma bisogna anche si possa essere messi in condizione di poter chiudere, c’è bisogno di sostegno. Dobbiamo fare attenzione, a maggior ragione perché ci troviamo alla seconda ondata sia di contagi che di chiusure, per cui non basta tenere gli occhi puntati a dicembre ed alle festività natalizie bensì c’è bisogno di guardare più a lungo, di fare tesoro di ciò che è stato prevenendo una eventuale, ulteriore, ennesima chiusura a gennaio. Sarebbe la fine. Sarebbe la chiusura definitiva per centinaia di attività e migliaia di famiglie.”
Un Franco Pepe che vuole lungimiranza e non ci sta più alla leggerezza con cui lo Stato e la Regione prendono decisioni senza tenere conto delle conseguenze e delle maggiori incertezze che vanno a creare con la loro contraddizione.
”Siamo decisi a stabilire una presenza diretta e immediata del Nostro territorio, ma anche di tutto il settore, nelle dinamiche che riguardano le nostre aziende. L’esigenza crediamo sia legittima, al fine di poter contribuire in modo concreto a quelle analisi e a quegli interventi che spesso ci danno la sensazione di non essere calibrati e misurati con la realtà delle nostre aziende. Portiamo economia quindi dobbiamo essere presenti. Pepe in Grani ha accolto oltre 30.000 ospiti in questi mesi, a fronte di un investimento in sicurezza considerevole, garantendo ad oggi la massima sicurezza e rispettando tutti i protocolli anti-covid, ciò nonostante da pochi giorni abbiamo chiuso.”
Insomma chi più di un rappresentante che sia interno al territorio più penalizzato dell’intera regione Campania, potrebbe meglio dare voce alle esigenze e portare l’attenzione su una zona che è l’eterna tralasciata.
Franco mi racconta: “Dobbiamo guardare al passato per andare avanti. Negli anni 70 esisteva la commissione per le licenze, mio papà ne faceva parte. Si trattava di un gruppo di esperti del settore, ai quali e istituzioni si affidavano affinché valutassero attentamente le richieste di licenze; documenti che non si potevano avere con una richiesta ed una firma ma necessitavano il sostenere un esame che poi decretava la licenza. Stessa cosa per i libretti sanitari: bisognava seguire un lungo iter di controlli e test prima di poterne avere uno. Oggi tutto si può fare con pochissimi brevi passaggi. Ben venga lo snellimento degli iter burocratici ma la semplificazione ci ha fregati, non abbiamo più un occhio interno che supervisioni che tutto si faccia con determinati standard.”
E forse è arrivato il momento di smettere con questa politica basata sulla teoria che ognuno deve curarsi soltanto il proprio orticello. Bisogna pensare all’intera comunità, all’intero settore perché lo Stato rischia di portarsi sul groppone qualcosa di molto più pesante sia in senso economico che in senso morale: l’annientamento di un comparto rappresentativo di un territorio unico nel suo genere, “una cartolina di eccellenza nel panorama turistico ed enogastronomico regionale e nazionale”.
Alle attuali condizioni diventa necessario un lockdown autoimposto da parte degli esercizi del SAC, tenendo sempre presente che parliamo di un settore che già nei mesi scorsi si è indebitato investendo per adeguarsi, riducendo i coperti, limitando gli accessi, inserendo attrezzature e procedure a tutela del cliente e della società. Sono stati sacrifici importanti, indispensabili e attuati da tutto il settore della ristorazione e del turismo ma sono stati resi vani. E ora cosa succede? Che a questo stesso settore si chiede un nuovo ulteriore sacrificio.
Le attività accettano il sacrificio, di nuovo, e abbasseranno le serrande, di nuovo, ma stavolta chiedono che avvenga con tutte le tutele del caso. Certo, perché trovarsi ad essere costretti a stare chiusi senza che però la normativa della zona gialla lo preveda, potrebbe essere la bastonata aggiuntiva.
La SAC e Franco Pepe non hanno intenzione di polemizzare né tantomeno di politicare, vogliono ascoltare e capire quale sia il processo decisionale affrontato per arrivare a scegliere o non scegliere cosa sia necessario fare.
Franco Pepe: “Sono stato in Regione e ho sposato la causa ed i giusti obiettivi della SAC ma lo faccio da imprenditore, lo faccio perché voglio che arrivi forte e chiaro un messaggio privo di protagonismi, che possa essere di sostegno a tutto il Sannio e l’alto casertano e alle sue imprese, perché ai piccoli chi ci pensa?
Abbiamo passato una estate come se nulla fosse accaduto, come se i mesi precedenti fossero solo un brutto ricordo scomparso e abbiamo vanificato l’opportunità di avere un programma, un ben definito modo di agire, ritrovandoci ad ottobre a piangerci addosso senza sapere che pesci prendere. Non è più tempo di perdere tempo.”
E come dare torto a Franco Pepe! A giugno ci siamo mossi un po' a rilento, ma come sempre al buono ci si abitua troppo velocemente rimuovendo i brutti ricordi e a luglio si era tutti pronti a riprenderci una normalità che con un po' di senno e con un piccolo promemoria dell’esperienza vissuta doveva già farci capire che la normalità sarebbe stata un’altra. Ci siamo ritrovati tutti a fare le cicale e ora che l’inverno sta arrivando non sappiamo fare altro che rimpiangere e invocare una inesistente formica. Eppure non era uno scenario che non era stato previsto, sapevamo della seconda ondata, sapevamo dei picchi di influenza stagionale, sapevamo cosa avevamo perso già e cosa rimpiangevamo ancora.
Penso di poter dire che Pepe in Grani possa sostenere un altro mese di chiusura pur avendo il carico delle problematiche, di 45 ragazzi dello staff fermi, di chili e chili di materie prime di un certo livello che erano state già acquistate. Penso però di poter dire anche che per ogni Pepe in Grani ci sono centinaia di altre aziende allo stremo delle forze. E ancora una volta sottovalutiamo l’aspetto psicologico di tutto questo scenario: le prenotazioni da disdire, le spese da sostenere, gli adeguamenti da recuperare e in più la beffa della contraddizione continua, le intere famiglie che si reggono sulle attività di una azienda di cui si è responsabili e il fatto stesso che sia l’azienda di famiglia che ci si vede scivolare tra le dita, questi sono tutti colpi bassi alla dignità delle persone. Non si può restare fermi dinanzi a tutto ciò, ancor di più in territoti che già soffrono una serie di mancanze. E allora speriamo che il caos non torni addirittura al suo significato più antico, speriamo che non sia il vuoto assoluto.