Il pranzo di Natale a Napoli
I piatti della tradizione popolare e la lunga maratona gastronomica
Sta tutta descritta lì, tra le osterie e le botteghe del presepe, la tradizione del pranzo di Natale a Napoli così come ancora oggi è possibile rappresentarla. È una tradizione legata alla storia della grande fame, che attraversava il tempo e ripartiva il popolo tra chi mangiava realmente e chi sognava appena di mangiare. E così accadeva un tempo, forse fino agli anni '70, che la nascita del Bambin Gesù per la maggior parte dei napoletani, dopo un anno di risparmi finalizzati anche alla composizione del canisto, il cesto ricolmo di cibarie, divenisse occasione per sospendere, mettere da parte le differenze di classe e per animare, invece, le cucine o imbandire le tavole non soltanto nella finzione dello scoglio, ma anche nella realtà.
Visto nel suo insieme il pranzo natalizio appare, allora, come un rito ininterrotto, che incomincia la sera della vigilia e termina a Santo Stefano. È un susseguirsi di cibi ai quali nessuno sa rinunciare e che rappresentano una sorta di contaminazione antica tra la cucina povera e quella ricca.
Il baccalà, ad esempio, presentato semplicemente lesso, condito con olio e limone oppure fritto in pastella oppure 'mpasticcio nella pizza di scarole (godetevi il video) non può mancare nella lista degli antipasti la sera della vigilia.
Così come non può mancare il capitone, i cui tranci arrostiti seguono in menu il piatto di vermicelli con le vongole, che nel tempo ha sostituito quello condito soltanto con acciughe, capperi e olive oppure con il sugo di pomodoro insaporito dalle teste e dalle code della stessa anguilla.
Un manuale di cucina napoletana dell’ottocento suggerisce per secondo aragosta bollita o pasticcio di cefalo farcito di scarola e per contorno la classica insalata di rinforzo arricchita di broccoli e cavoli.
Minestra di cicoria in brodo di cappone imbottito con le sue interiora in fricassea con uova, pinoli e uva passa apre, invece, il pranzo del giorno di Natale. E per secondo lo stesso cappone ripassato in padella oppure servito soltanto con la sua farcitura.
Lavanelle ricavate da una sfoglia di pasta all’uovo tirata fresca in casa e condite con un buon Rraù è il primo a Santo Stefano.
Struffoli, roccocò, pasta reale, mostaccioli, raffiuoli, raffiuoli a cassata, sosamielli sono gli eterni immancabili dolci. Imperdibili come le sciosciole, 'o spasso la frutta secca, che in questi giorni segna il ritmo e impegna fin troppo, con il suo sovraccarico energetico, il lungo tempo della tavola.
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