Perché l'informazione gastronomica non piace?
Perché non dice (tutta) la verità.
How Boring! – L’informazione gastronomica non piace perché si limita a raccontare solo il bello e mai il brutto delle proprie esperienze.
In questi ultimi giorni, ho riflettuto molto sul ruolo dell’informazione gastronomica e sul perché – allo stato attuale, al netto di poche eccezioni – sia totalmente inutile per i consumatori, cioè quello che dovrebbe essere il pubblico più ampio.
Racconto un paio di esperienze per rendervi il concetto più chiaro.
La mia bacheca Facebook, questa settimana, è stata un ping pong di due argomenti: i vaccini Astra Zeneca e una certa colomba – non importa quale, a ‘sto punto – da me assaggiata, uscita fuori in maniera non proprio performante; di conseguenza, ho deciso di rendere pubblica la mia esperienza.
Figurarsi, può capitare. Il grande lievitato è una scienza, basta un passaggio sbagliato e taaaac, ti si rovina tutto. Niente: secondo molti, avrei dovuto tacere e magari scrivere al servizio clienti (che poi, come abbiamo avuto modo di scoprire secondo diverse segnalazioni, permette di effettuare il reso solo dietro pagamento del cliente... mediamente, anche la pizzeria di provincia ti rimanda la pizza a casa gratis non appena possibile, se te ne sbaglia una.)
Insomma: parte del pubblico ha deciso (e in modi non proprio gentili) che non avrei dovuto fare informazione gastronomica su un fatto a me capitato.
Ma questo è stato soltanto il casus belli, come si suol dire, di un argomento molto più ampio che in tempi non sospetti – nemmeno qualche settimana fa – era stato portato alla luce da due punti di vista differenti; Antonio Lucifero, su Foodclubbers, chiese al pubblico quali fossero i loro food writer preferiti, ricevendo ben poche risposte; domanda ripresa da Anna Orlando su Foodmakers, che disse una bella ma cocente verità: per lei, non esistono food writer preferiti, perché annoiano e sono autoreferenziali.
Ecco, io penso che la questione accaduta questa settimana ed i pareri espressi da Antonio ed Anna si dirigano, sostanzialmente, verso la medesima conclusione: il giornalismo gastronomico, mediamente, non ha senso: perché è autoreferenziale e non rispecchia la realtà. Perché non rispecchia la realtà? Perché, spesso, si riduce al banale storytelling di un’esperienza, forzandone talvolta il contenuto fino a renderlo stucchevole e falsamente positivo. Quando poi c’entrano conoscenze, parentele, qualcosa di soldi, beh, il caro Lucifero non si farebbe remore nel definirle markette.
Ho addirittura occhieggiato dichiarazione di webzine che per loro precisa scelta non fanno recensioni negative. Sanguinano gli occhi, sapete, per non dire il portafogli.
Veniamo un po’ al dunque e diciamo un po’ L’Inclemente come la pensa.
- Sì, le esperienze negative vanno raccontate. La retorica del “anche il pizzaiolo/pasticciere/chef ha famiglia e azienda” viene immediatamente smontata da “anche il cliente ha famiglia/è un lavoratore dipendente/mette da parte i soldi per quell’unica esperienza che forse sarà irripetibile”. E quindi io, operatore dell’informazione, ho il dovere di raccontare se qualcosa non va.
- No, le persone, le attività, i prodotti, non vanno offesi. MAI. Esistono modi giusti per innescare ragionamenti costruttivi e pervenire, qualche volta, a conclusioni. Altrimenti, si chiama offesa. E questo non va fatto, mai, per nessuna ragione.
Purtroppo, quello che posso notare nella mia breve ma mediamente intensa piccola carriera, è che ogni opposizione viene vista come un guanto tirato a mo’ di duello. Forse gli Spaghetti Western hanno un po’ troppo traviato il concetto di “confronto” dei miei compatrioti, che si sentono sempre sfidati a duello… un duello dal quale uno deve uscire vivo, l’altro morto. Anche nel mondo del food.
Siamo sì, prima di tutto consumatori: penso di parlare a nome di tutti i Foodclubbers: se desideriamo qualcosa, fare un’esperienza, paghiamo ed usufruiamo di X esperienza. Ma nel momento in cui ci si mette in gioco nell’informazione gastronomica, allora sì, che lì hai un ruolo: hai il ruolo di informare i consumatori come te, ma che non posseggono i tuoi stessi mezzi e la tua stessa mediaticità, di come vanno realmente le cose, o almeno com’è andata davvero la tua esperienza. Se non lo fai, se ne oscuri una parte, stai soltanto favoleggiando qualcosa che tanto realtà non è.
E voi, come la pensate? L’informazione gastronomica riesce nel suo intento principale di informare il cliente, lo confonde… oppure ancora, lo illude?
Seguici su facebook foodclub.it
Entra nel vivo della discussione sul nostro gruppo, un luogo libero dove professionisti della ristorazione, clienti e #foodlovers si confrontano sui temi del giorno: Join the #foodclubbers Be #foodclubber