WINE STAR WARS - episodio I: Luigi Tecce
Luigi Tecce, il poeta controcorrente di Contrada Trinità
Luigi Tecce, il poeta controcorrente di Contrada Trinità. Alla Tecnologia preferisce il silenzio, ma non la solitudine. Ama la natura a tal punto da esser famoso per una lunga serie di "no" impressa sulle sue etichette, convive armonicamente nella sua casa/cantina non segnalata su Google e non c'è alcuna forma di tecnologia tra lui, la sua vita e i suoi vini.
Qual è il pensiero di un produttore libero da tecnologie?
Oscar Wilde diceva “La buona società è una cosa necessaria: farne parte è solo una gran noia, ma esserne fuori è una tragedia”. Personalmente non amo il rumore, sono affezionato al focolare domestico, preferisco le buone vecchie maniere ed il classico faccia a faccia. Della comunicazione moderna condanno l’assenza di privacy che diventa ostentazione nevrotica della solitudine. Io non ho neanche un pc, ne faccio a meno volentieri. Ci riflettevo proprio in questi ultimi giorni, la comunicazione deve essere e deve tornare ad essere confronto umano.
Il Taurasi vive fasi di mercato alterne, cambia il vino o cambia il palato dei consumatori?
Non basterebbe una sola risposta per questa domanda. Il Taurasi ha una storia millenaria, ricordiamolo, oltre ad essere stata tra le prime DOCG in Italia e prima in assoluto al sud. Ciononostante non è riuscito ad affermarsi su un pubblico moderno. Vuoi sapere perché? Il gusto è mutevole, il clima cambia, lo stile produttivo cambia, ma ciò che conta per un prodotto d’eccellenza è il classico assoluto, come nella sartoria. Ecco cosa ci è mancato: in quest’area, ad eccezione di Mastroberardino, la maggior parte delle Aziende è nata negli anni ‘90 e 2000, noncuranti dell’identità e interessati quasi esclusivamente a voler trarre immediato profitto. Solo producendo un vino che rifletta fedelmente il territorio si potrà generare un pubblico fedele capace di superare le mode. Lavoriamo in primis su noi stessi, distinguendo le Aziende industriali da quelle artigianali, e donando apporto affettivo e culturale all’Irpinia per restituire un’identità al Taurasi.
Luoghi comuni: Aglianico vitigno antipatico, difficile da allevare, cosa c’è di vero?
C’è una verità di partenza e una banalizzazione nel ripeterla sempre. Certo, è un vitigno difficile ma lo sarebbe qualunque altro. Perché è difficile? Ecco, l’Aglianico ha un ciclo vegetativo molto lungo, cioè germoglia prematuramente (con annessi rischi gelate che rendono il nostro compito ancor più difficile) e matura estremamente tardi, come testimonia la mia ultima vendemmia ultimata a fine novembre. Lo definirei l’antagonista del Merlot, ma si sa, ogni moneta di valore ha una testa e una croce, altrimenti non vale nulla.
Il Taurasi è la prima DOCG del sud Italia, benedizione o maledizione?
Il riconoscimento è avvenuto perché non poteva essere altrimenti. Un buon Taurasi può competere con i grandi vini del mondo e primeggiare, come ad esempio nella celeberrima annata ‘68 di Mastroberardino. Nel corso degli anni è mancato però l’attaccamento alla denominazione in quanto è diventata molto più moda che amore. Parafrasando, la Denominazione è l’abito ma l’anima siamo noi produttori. Servono anime pure.
Sei famoso per la lista di “NO” indicata sul retro etichetta. Quali sono i sì per produrre vino quindi?
La “no list” nasce per dare importanza all’unico ingrediente, l’uva, in tempi non sospetti in cui l’industria chimica irrompeva energicamente nel nostro mondo. L’ho fatto per “sfregio”, perché non era tutelata la produzione di vino artigianale di qualità mentre si autorizzavano componenti nocive e dannose volte a generare squilibri all’intero ecosistema. Vista la mia battaglia, non ancora terminata, non escludo un futuro upgrade in cui scriverò “questo vino è ottenuto senza l’ausilio di pubblici contributi”.
Esistono diverse associazioni, consorzi e gruppi di persone attorno al vino. Quale è il tuo pensiero a riguardo e di quali fai parte?
Sono un individualista, non un solitario. Tempo fa, incoraggiato dall’iniziativa promossa da Villa Diamante, Maura Sarno e Sandro Lonardo sono entrato a far parte dei DIVERSI VIGNAIOLI IRPINI insieme ad un gruppo di amici produttori. Ci sono state anche mission all’estero, ma oltre ciò, ero felice di appartenere a questo cenacolo di produttori che spesso si trasformava in laboratorio di idee. Per sintetizzare la mia opinione a riguardo, quindi, prendo spunto da una frase dell’amico Vinicio Capossela, “da solo non è meglio che mal accompagnato”, quindi meglio confrontarsi.
Essere un produttore in Irpinia ha più vantaggi o svantaggi?
Per quanto riguarda i vantaggi, in Irpinia ne giova la tua vita privata, tutto sommato qui si “campa” bene. Da produttore, c’è indubbiamente un vantaggio economico per chi ha intenzione di investire nell’avellinese, anche se l’assenza di un vero sistema costringe gli avventori a giocarsi da soli la propria partita. Bisogna essere un po’ avventurieri per scommettere sull’Irpinia, ecco, approfittando della fortuna di avere molta libertà e poco fiato sul collo. Personalmente, anche se potrebbe essere più semplice vendere Brunello e Barolo, essendo nato qua, tra questi boschi e questo prato di spine, non mi vedrei in alcun altro luogo se non questo.
Ad Avellino si è parlato di “Dinopark” per rimettere in moto il turismo, non si poteva pensare al “Vinopark” data la presenza di tante cantine?
Avellino, come Cuneo, è una città costellata da DOCG. Eppure ad Avellino manca una struttura incentrata sul vino. Dopo il grande terremoto del 1980, la ricostruzione ha avuto due canali di spesa, il primo rivolto alla ricostruzione privata ed il secondo che mirava alla riqualificazione industriale. Si è speso tantissimo per questa seconda componente e portare le fabbriche in montagna, mentre in città non abbiamo neanche un negozio in cui comprare calici o un ufficio in cui chiedere informazioni circa le numerose cantine. Cosa è mancato qui? Ve lo spiego con due esempi storici: Chi inventa il Barolo come fenomeno economico? Camillo Benso Conte di Cavour. E per il Chianti? Bettino Ricasoli. Invece, quando è toccato all’Irpinia? Fabbriche in montagna e cemento, l’Irpinia ha preferito le illusioni all’identità. La storia si ripete.
Il suo amico Vinicio Capossela canta “che cos’è l’amor”. Per lei cos’è?
Innanzitutto non confondiamo l’amore con l’infatuazione. Amore è dare sé stessi in maniera libera e totale. Per quanto mi riguarda, la vigna, nel bene e nel male è stata la mia vita. Ho iniziato poco più che ventenne e mi sono concesso sempre e solo a lei negli anni, senza moglie e senza figli, donando tutto me stesso come in una sincera storia d’amore. Conservo poi dei sentimenti di ribellione che a volte mi portano a fantasticare su alcuni esempi del passato e allora se potessi scegliere, vorrei essere Spartaco.
Ho sentito parlare di un corso “come nasce un buon vino” in cui leggo “tutti possiamo essere Luigi Tecce”. Cosa c’è di diverso in questo corso?
È tutto vero, c’è un progetto in corso che mi porterà a raccontare quanto so, dalla potatura al vino, filmato e raccontato da me in ogni fase. Suggerisco di guardarlo due volte, la seconda senza audio, perché ci sarà da godere mentre si proiettano le atmosfere, i colori e le unicità della nostra Irpinia. Perché l’ho fatto? Semplice, Così come sto parlando con lei, mi sarebbe piaciuto trasmettere le mie conoscenze a più persone e così lasciare traccia della mia memoria.
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