Mentre a Napoli fanno presepi di Pizza, Pizza Hut apre alle criptovalute
La criptovaluta BitCoin accettata in tutti i Pizza Hut del Venezuela
E di qualche giorno fa la notizia che all'APN, la più importante associazione di categoria per PizzaiUoli, per celebrare il terzo anniversario del riconoscimento Unesco "Arte del PizzaiUolo Napoletano patrimonio immateriale dell'umanità", hanno ben pensato di creare un presepio realizzato con l'impasto della pizza e fa sorridere che mentre noi guardiamo indietro e ci crediamo (con tutte le buonissime ragioni a supporto) padroni della pizza, dall'altro capo del mondo pensano a come padroneggiare tecnologicamente e per diffusione il mercato, ma andiamo al fatto del giorno, su quest'argomento ci ritorneremo: Pizza Hut introduce il pagamento con cryptovaluta.
Richard Elkhouri, CEO di Pizza Hut in Venezuela, ha spiegato: “Oggi Pizza Hut cerca di andare di pari passo con l’innovazione tecnologica, con il supporto di ciò che la tecnologia offre ogni giorno per potersi mantenere ed evolvere sul mercato“.
La novità è che in tutti i Pizza Hut del Venezuela è possibile pagare i propri acquisti utilizzando le criptovalute. Verranno accettati Bitcoin, Dash e i meno conosciuti XPT, la criptovaluta di CryptoBuyer che è il partner di Pizza Hut.
Visti i recenti problemi economici con l’iperinflazione, il Venezuela ha un disperato bisogno di un cambiamento nei metodi di pagamento e nel valore della valuta. È qui che entra in gioco la criptovaluta e anche CryptoBuyer, la società che in tutta la regione è stata fornitore di servizi ATM per punti vendita e criptovalute.
Il PRECEDENTE
Dal 7 settembre anche in Francia è possibile pagare in bitcoin quando si ordina presso 15mila ristoranti. È il frutto della collaborazione tra Just Eat France (la piattaforma online di food delivery attiva in 13 Paesi) e Bitpay (il gestore di pagamenti in bitcoin). L’introduzione di questi pagamenti segue l’acquisizione di Just Eat France da parte di Takeaway.com, che accetta pagamenti crypto già dal 2017 quando acquisì anche Lieferando -una delle più grandi piattaforme di food delivery in Germania.
Gli utenti possono creare un wallet digitale scaricando un software speciale o un'app; una volta collegato all'applicazione di Just Eat, potranno scegliere l’opzione di checkout in Bitcoin che li reindirizzerà al portale di pagamento di Bitpay. Il prezzo di Bitcoin verrà calcolato in base ai dati in tempo reale di Bitpay e la piattaforma di consegna non applicherà alcun costo di transazione per i pagamenti in criptovaluta. Se un utente annulla un ordine pagato in Bitcoin, la piattaforma effettuerà un rimborso dell'importo pagato sul conto bancario dell'utente in euro invece di BTC. L’importo del rimborso (secondo il sito web) non dipenderà dal prezzo nel tempo reale di Bitcoin.
LA CRIPTOVALUTA
Criptovaluta o criptomoneta è l'italianizzazione dell'inglese cryptocurrency e si riferisce ad una rappresentazione digitale di valore basata sulla crittografia. Si tratta di una risorsa digitale paritaria e decentralizzata. Il controllo decentralizzato di ciascuna criptovaluta funziona attraverso una tecnologia di contabilità generalizzata (DLT), in genere una blockchain, che funge da database di transazioni finanziarie pubbliche, una sorta di libro mastro.
Un sistema decentrato potrebbe essere più resistente ad attacchi informatici o anche a incidenti operativi rispetto a un sistema accentrato perché il primo continua a operare anche quando uno o più nodi smettono di funzionare.
IL BITCOIN
La criptovaluta più famosa è il Bitcoin. Nata nel 2009 è la prima criptomoneta per valore, la prima ad essere conosciuta in massa, e ad essere riconosciuta come forma di pagamento da diversi siti Internet, nonché commercianti. Si è presentata al mercato come il nuovo modo di dare ed avere garanzie nelle transazioni finanziare e probabilmente deve il suo successo proprio al lancio arrivato sulla scia della grande crisi del 2008. Non soffre del meccanismo di controllo del valore, effettuato tramite politiche monetarie, perchè la criptovaluta segue un andamento prevedibile e non alterabile che porta a limitare il numero di unità a 21 milioni raggiungibili entro il 2140.
IL VENEZUELA
C’è bisogno, dunque, di affrontare la “nuova realtà” seguendo da vicino i modelli di consumo, incorporando tecnologia e innovazione. A maggior ragione in Venezuela, per la situazione esistente.
Sono almeno tre anni che lo Stato è entrato nel tunnel dell’iperinflazione e che non ha le risorse per farsi carico delle spese che possano garantire il rifornimento di alimenti, acqua e carburante. Una situazione che ha portato un Paese una volta ricco per la media dell’America Latina, che attirava immigrati dagli altri Stati, ad essere diventato il primo Paese al mondo per numero di cittadini emigrati, senza che ci sia un conflitto bellico. Una situazione che ha generato più di 5800 manifestazioni, una situazione peggiorata dal crollo del prezzo del greggio, che è la principale fonte economica di ingresso del Paese. L’arrivo della pandemia poi ha peggiorato una situazione che sembrava non potesse andare peggio.
L’IPERINFLAZIONE
L’iperinflazione ossia quando il prezzo dei beni al consumo aumenta improvvisament. Semplificando, una moneta perde valore perché i mercati non le credono più.
E l’aumento mensile dei prezzi qui è del 50%. I Bolivares sono letteralmente carta straccia.
Al momento, per fare la spesa servono circa 100 salari minimi.
Nel 2018 l'inflazione ha toccato 1.700.000% e la banca centrale è stata costretta a togliere cinque zeri dalle banconote, coniando una nuova divisa: il "Bolivares Soberano”. I prezzi sono schizzati così tanto nell’ultimo anno che molti negozianti rifiutano di farsi pagare in banconote, preferendo il baratto. Il valore della moneta si sta erodendo al punto che i menù dei ristoranti cambiano ogni settimana.
PETRO
Mentre il governo venezuelano tenta di contenere il tasso di inflazione togliendo tre zero dal bolivar, i cittadini più benestanti provano un approccio differente, facendo salire alle stelle le transazioni in bitcoin. Nelle economie avanzate, le criptovalute servono a speculare, fare scommesse e poco più; laddove le strutture monetarie sono a pezzi, il loro valore potrebbe diventare rilevante. Il governo venezuelano lo ha capito e ha pensato di bene di lanciare la propria criptovaluta. Ma è difficile che gli investitori possano credere alla nuova moneta più di quanto credano in quella che già c’è.
Fatto sta che nel 2018 il Venezuela è diventato il primo paese a dichiarare la criptovaluta come moneta principale. La vita era veramente diventata complicata anche per fare acquisti base visti che i venezuelani si sono ritrovati a pagare con sacchi della spazzatura pieni di banconote che venivano valutati a peso!!! I commercianti hanno cominciato a preferire il baratto. Insomma... il Bitcoin è una necessità.
La criptovaluta venezuelana si basa sulla sua fonte primaria di certezza: il petrolio. Per questo la criptomoneta si chiama Petro e ogni moneta vale uno dei 5 miliardi di barili di petrolio che si dice siano la ricchezza del Venezuela.
Petro ad oggi non ha avuto molto successo ma il governo di Maduro continua ad aggrapparsi alle cryptocurrency pur di mantenere la solvibilità economica.
BITCOIN NEL MONDO
Oltre al Venezuela, ci sono altri pesi in cui le criptovalute stanno sostituendo la moneta.
I paesi dell’Africa sub-sahariana, ad esempio, sono tra i più costosi del mondo (essendo anche tra i paesi a basso e medio reddito), in cui inviare denaro. Con l’aiuto di bitcoin, le aziende stanno tagliando le tariffe e riducendo i tempi di rimessa quando inviano e ricevono valuta estera.
> Dov’è più utilizzato?
Non è una facile valutare quali paesi nel mondo sono i maggiori utilizzatori di criptovaluta: si dovrebbe tenere presente della popolazione, del background legale ed alla sua diffusione ambientale.
Ci sono paesi in cui la criptò valuta è illegale, come la Russia. È noto che paesi dell’Est appaiono molto più chiusi al Bitcoin rispetto alle loro controparti occidentali. La Russia è attualmente il più grande Paese in cui la criptovaluta è illegale mentre Cina e Corea del Sud hanno numeri esorbitanti. Nord America e Europa occidentale sono le aree in cui è più accettato, mentre il Medio Oriente è molto diviso sul tema.
Per questo motivo, prendendo come riferimento i dati di Localbitcoins 2019 sulla diffusione degli ATM nella nazione, anche tramite Coinatmradar e Coinmap, e sull’accettazione giuridica della valuta nel Paese preso in esame, ecco le 10 nazioni che usano maggiormente bitcoin.
1-Giappone
2-Stati Uniti
3-Corea
4-Italia
5-Paesi Bassi
6-Regno Unito
7-Svezia
8-Russia
9-Brasile
10-Sud Africa
> In Italia.
Non mi soffermerò molto sugli altri ma so che stiamo pensando tutti la stessa cosa: “l’Italia al 4 posto???”. Secondo Coinmap, il 15,3% dei negozi al mondo accettanti BTC per pagamenti è in Italia. Inoltre, ci sono 39 ATM per ritirare direttamente valute virtuali ed una buona comunità di Localbitcoins.
Per dare un’idea, i Paesi Bassi, come negozi che accettano BTC, sono solo il 2,3% al mondo. Purtroppo una lista completa dei negozi che lo accettano è difficile da trovare.
Andando più nello specifico l’Italia non rientra neanche lontanamente tra le città più aperte al Bitcoin e alle criptovalute. Roma e Milano, i centri più importanti del Belpaese, vantano soltanto un ATM a testa.
Eppure a Rovereto, lo storico paese da 40mila anime, conta oggi oltre 70 attività fra locali, pizzerie, dentisti, parrucchieri, ottici, autoscuole e altre che accettano i bitcoin per i propri servizi. Si parla di una media di 100 euro di transato giornaliero in quelle più frequentate. Incassano moneta virtuale ed emettono fattura in euro.
La criptovaluta è un qualcosa che si basa sulla fiducia, sulla pazienza e sull’investimento. In Italia i bancomat sono disponibili attualmente nelle seguenti città: Torino, Roma, Milano, Firenze, Rovereto e Pisa.
Sarà un caso che sotto Roma non ce ne sia la bit-presenza?
Però abbiamo l’AVPN e l’Unesco con le pizze presepio!
>Bella storia.
Il giovane avvocato di Roma Simone Fazzari è esperto in criptovalute e moneta digitale. Fin dal 2009, con la creazione dei primi 50 bitcoin è nata anche la sua passione che quello stesso Natale fece il suo primo investimento. Negli anni la valuta prendeva piede e cresceva sempre più a livello mondiale ma in Italia non se ne parlava. Intanto Simone divenne avvocato e Jon riusciva a non dedicare il suo tempo libero al tema cryptocurrency. L’attesa è durata fino al 2017 con il boom del Bitcoin. Eppure ancora nulla in Italia. Così, alla fine del 2017 Simone ha dovuto riscontrare che proprio in nessuna Banca italiana risultava concretamente possibile far bonificare il ricavato della vendita dei Bitcoin già in suo possesso. Di conseguenza dovuto stabilire in Estonia, uno dei paesi leader in Europa per quanto riguarda il fintech e le condizioni favorevoli verso le criptovalute in generale.
“L'Italia non è affatto il paese giusto per approcciarsi a questo tipo di investimenti: infatti molti dirigenti bancari italiani neppure sanno ancora dell'esistenza delle criptovalute, oppure nella migliore delle ipotesi ne hanno solo sentito lontanamente parlare. Infatti, per quanto mi consta, nessun Istituto bancario italiano mi risulta abbia ancora concretamente attivato la possibilità di approcciarsi ad investimenti crypto.”
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