108 Restaurant, il piano B per avere una fetta del Noma
Il 108 Restaurant di Copenhagen di Kristian Baumann è una fetta di Noma
108 Restaurant
Strandgade 108, 1401 København, Danimarca
+45 32 96 32 92
Prenotazioni: sevenrooms.com
Per molti il 108 è il piano B, è la prima seduta che viene in mente di riservare, quando non si è riusciti ad essere tanto bravi nell'accaparrarsi un posto in prima fila al Noma.
Il Noma 2.0 è considerato il Santo Graal dell'alta cucina internazionale, la Mecca dei viaggiatori gastronomici internazionali, è quel ristorante da cui bisogna passare almeno una volta nella vita per dire: Io ci sono stato. Ed è così che il 108 è diventato un locale di grande successo, quando a biglietto aereo confermato, dopo averle provate tutte, non si riusciva ad accedere al laboratorio gastronomico n.1 al mondo, si finiva per cercare di avere un saggio, un pezzo della cucina di Renè Redzepi da questo ristorante che nell'immaginario collettivo ha preso il nome de "il piccolo Noma".
Il 108 che prende il nome del civico in cui è locato.
In cucina troviamo lo chef coreano di nascita Kristian Baumann, cresciuto in un villaggio vicino Copenhagen, la sua proposta e idea di cucina attinge a piene mani dalla Scandinavia e dal background costruito negli anni alla corte di grandissimi chef danesi.
Durante il suo apprendistato, Kristian Baumann ha collaborato come stagista nella cucina del Noma fino a diventare perno fondamentale e sous-chef del ristorante 4 volte primo per la WORLD’S 50 BEST RESTAURANT. Lasciato il Noma ha contribuito alla crescita del Relae di Christian Puglisi.
Oggi, un decennio dopo, è socio in affari con Redzepi nel progetto 108 aperto proprio dietro l’angolo del Vecchio Noma.
Sin dalla sua apertura, il 108 per il suo retaggio ha goduto di grossa popolarità finendo per diventare istantaneamente hotspot della scena gastronomica nordica .
Rapidamente divenuto noto come un modo per ottenere un pezzo del Noma, il 108 ha ricevuto la sua prima stella Michelin poco dopo l'apertura e dalla scorsa estate è stato nominato 89° miglior ristorante al mondo dalla World’s 50 best.
La filosofia: stretta collaborazione con produttori e agricoltori, ingredienti selvaggi e non trattati, fermentazione e nulla più del necessario nel piatto in stile tipicamente nordico-minimalista.
La degustazione
Appese le nostre giacche veniamo accompagnati verso il tavolo. Ha una stella ma è molto informale e conviviale, metà del team è italiano e questo ci ha fatto subito sentire a casa.
Le stoviglie e le posate sono fatte su misura, queste ultime infilate in una custodia in pelle, risparmiandoci così l'interruzione dei cambi di posate durante il pasto, un servizio che si rivelerà alla mano e friendly per tutto l’arco della degustazione.
La cucina
Vi sono diverse possibilità, un menù alla la carta con non più di 7 proposte e la possibilità di essere accompagnati in un percorso optando per un menù degustazione. Noi sceglieremo il secondo abbinandolo con dei cocktail.
Non ho idea di cosa aspettarmi, di sicuro con queste premesse è naturale l’ambizione a godere di un pasto straordinario, il 108 è figlio diretto di colui che ha influenzato l’ultimo decennio la gastronomia mondiale che dal primo Noma in poi, non è più stata la stessa.
I Piatti
LAYERS OF SOFT YELLOW BEET with caramelized scallops
Fettine sottili di barbabietola gialla caramellata con una polvere di capasante, un progetto non concluso, al di là del mangiare una rapa all’inizio del pasto per le sue proprietà digestive, il marino della capasanta non riuscirà mai contrastare il dolciastro della polpa croccante e finirà per risultare una proposta (a mio gusto) non esaustiva.
BAERII STURGEON wrapped in cabbage leaves
Un elegante sandwich composto da due foglie di cavolo croccante che raccolgono una maionese di storione. Il profumo è assai gradevole e la mayo risulterà ben fatta.
BROWN BEECH MUSHROOMS with wild garlic
Funghi di faggio fritti per intero asciutti e fragranti, la frittura dona texture alla masticazione, valorizzando i miceti dal gusto risto a tal punto da dare l’impressione di addentare una bistecca, la salsa all’orsino con il suo gusto agliaceo delicato dona un'ulteriore sfumatura vegetale a completare il tutto.
A WARM BEETROOT SALAD with pigeon leg cooked in its own fat
Base di barbabietola intagliata come se fosse una rosa e cosparsa dal grasso di cottura del piccione, il cuore del fiore sarà una coscia del piccione disossato. Piacevole.
MONSTER ONION WITH LAST YEAR PICKLES AND SMOKED EGG YOLKS
Il piatto più divertente della serata, una grossa fetta di cipolla stufata servita come se fosse un grosso hamburger, sopra delle chips ottenute essiccando il primo strato esterno dell’ortaggio , cosparsa da una salsa all’uovo affumicato e dei sottaceti sminuzzati.
Può una cipolla dare la sensazione di gustare gustoso CHEESE BURGER?
Un grosso SI, la sensazione è quella di addentare un godereccio panino da fast food, la carne non c’è, (E nemmeno il pane) e se non fosse per la descrizione sarebbe facile farsi ingannare e crederne impossibile l’assenza.
Il segreto? l’affumicatura del tuorlo donerà quella sensazione di griglia e la cremosità e i grassi animali delle uova associati agli scherzi della memoria, completeranno l’opera.
THE REST OF THE PIGEON with celeriac
Il petto del piccione cotto alla perfezione viene tagliato in sottili fettine che andranno a coprire un purè di sedano rapa su cui verrà versata una salsa fatta di interiora del volatile. Amo il piccione e il piatto seppur minimale risulterà piacevole e ben costruito. Bilanciati i contrasti, il purè di rapa, fresco e delicato, darà equilibrio al piatto donando quel piacevole effetto ping pong da un estremo all'altro.
LAST YEARS CEPS with berries and cream
Sembra liquirizia ma non lo è, risulterà funzionale alla conclusione del percorso preparandoci al dessert: un cannolo dalla sfoglia sottile e croccante ai funghi ripieno di una crema alle bacche senza zuccheri aggiunti.
L’acidità della frutta e l’intensità dei miceti resetteranno completamente il palato.
RAUSU KONBU ICE CREAM WITH ROYAL BELGIAN CAVIAR
Gelato e caviale? Un abbinamento classico che amo profondamente, quella leggera nota marina e salina in contrasto al dolce del gelato, quale conclusione migliore? Qui, purtroppo, risulterà inutilmente ricercato.
Il caviale Royal Belgian di qualità Malossol risulterà fin troppo sapido, le parti salate e dolci non troveranno mai un equilibrio, per gusto personale, consiglierei o di cambiare caviale optando per un prodotto più delicato e neutro o di sostituire il gelato, il gusto alga kombu è molto ricco di suo e la sua caratteristica umami sbilancia completamente il piatto.
CONCLUSIONI
Perché polverizzare una capasanta?
Perché fare di uno storione una maionese? Dove sono le sue carni?
Perché realizzare qualcosa che abbia lo stesso sapore di un cheese burger del mc donald’s a 40 euro? Per dimostrare l'abilità tecniche o per dire ci si può divertire anche senza carne?
Perché mai un viaggiatore gastronomico dovrebbe prendere un aereo per venire a mangiare qui?
Che siano questi ingredienti assemblati magistralmente, gli "scarti" di una cucina più "grande"?
La risposta è semplice e difficile allo stesso tempo, già sento decine di chef dimenarsi in chiacchiere inutili, si lamenteranno che non ho abbracciato la loro filosofia, che per apprezzare determinati piatti è necessario andare oltre il gusto e avere maggiore conoscenza (girare il mondo non è sufficiente), questo è un ristorante ECOSOSTENIBILE, che utilizzando solo ed esclusivamente prodotti locali valorizza al territorio circostante. Vero, lo è.
Dovrebbe bastarmi?
Sono per caso un cittadino americano medio nutritosi a vita in fast food e big mall, che dovrebbe stupirsi per una carota raccolta nell’orto la mattina e cucinata la sera?
No amici miei, io sono CAMPANO e da noi tralasciando gli ultimi 20 anni, la globalizzazione e la standardizzazione delle scaffalature delle GDO è sempre stato così.
Farò un esempio ( e non per metterli in confronto) su tutti per esprimere al meglio il concetto: Il DON ALFONSO della famiglia Iaccarino ignorato dalle classifiche mondiali che pongono l'accento sulla sostenibilità ambientale, dagli oli alle verdure passando per il bestiame al pollame, alleva e produce quasi tutto quanto viene portato in tavola in un oasi naturale a poche centinaia di metri dal ristorante, provando a servire sempre il miglior prodotto al miglior tempo possibile.
Mi dispiace sottolineare che non siamo capaci di valorizzare un qualcosa che facciamo da sempre e che tutto d’un tratto sembra sia stato inventato in Scandinavia da illuminati maestri che non avendo alcuna storia gastronomica (e questo probabilmente è stato un vantaggio nello sviluppo dell'ingegno e per la ricerca di nuove soluzioni) hanno iniziato a inventare una cucina nazionale. Sforzo sicuramente lodevole a cui vanno applausi a scena aperta per i risultati ottenuti.
Probabilmente sarò accusato di eccessivo patriottismo e di fare del campanilismo sterile ma in realtà non è così, è esattamente l'opposto. Apprezzo e riconosco la loro capacità straordinaria di inspirare la cucina mondiale, avessero loro i nostri prodotti, con questo approccio scientifico alla materia, probabilmente la cucina nordica, non avrebbe rivali in assoluto al mondo. Che sia stata la ricchezza ad ammorbidirci e renderci mediocri? Probabile.
Questo vuole essere un invito, una chiamata alla responsabilità per i nostri cuochi. Fra 20 anni in Danimarca continueranno ad avere rape, patate e la necessità di fermentare per garantirsi viveri nelle stagioni fredde e noi un infinità di prodotti freschi e dal gusto naturalmente eccellente. Se continueremo a seguire uno stile di cucina non nostro, a fermentare colture eccezionali pronte da mangiare e servire cervo in costiera, finiremo per non essere capaci più di valorizzare l'immensa ricchezza che la natura ci ha dato: "Wake up Uagliù, scetateve che l'aria è doce"
E’ il 108 tra i migliori 100 ristoranti al mondo? Non scherziamo. Ritengo addirittura faccia male a un luogo del genere, essere valutato così in alto in una lista influente e internazionale. Questo aumenta maledettamente le aspettative. Venissi presentato per quello che è, vi si entrerebbe con meno aspettative e se ne uscirebbe sicuramente più soddisfatti.
E’ il 108 un ristorante con una filosofia interessante ?
Senz’altro, quando ai ristoranti si andrà a lezione di story telling e non a mangiare sicuramente, questo sarà uno di questi posti imperdibili per qualsiasi studente di gastronomia filosofica. Ma io ho un grosso problema, mi piace interessarmi alla storia dopo aver gustato dei grandissimi i piatti e non a reputare grande un piatto perché gli hanno cucito intorno una buona novella.
Concludendo, Il 108 è buon ristorante, che valorizza la scena e i prodotti locali, una stella Michelin piena e meritata nel contesto in cui si trova.