Alberto Gipponi (good) food for thought
Via Santa Croce, 1 Gussago (Brescia)
Tel: 030.2523051
Prenotazioni: www.dinaristorante.it
info@dinaristorante.com
Menu degustazione: 50, 70 e 90 euro
Aperto da lunedì a sabato a cena, sabato anche a pranzo.
Avevo definito, proprio su queste pagine, Alberto Gipponi come “disruptive chef” e tale continua a essere. È uno chef che si fa continuamente tante domande sul ruolo della cucina, della ristorazione e ovviamente del suo in questo mondo. C’è tanto pensiero e tanta attenzione al cliente di Dina, che è il suo ristorante, il suo concept, la sua casa e soprattutto quella che vuole sia la casa per i suoi ospiti.
Per questo motivo da Dina potete trovare tre menu degustazione, “Jagged little pill”, “Appetite for destruction” e “Nevermind” che variano per complessità e sperimentazione crescente, così come “la valigia dell’attore” dove si può pescare fra i piatti delle diverse degustazioni.
La sua valenza e la sua unicità stanno nel fatto che, soprattutto nel percorso più sperimentale, ognuno dei suoi piatti ti suscita un pensiero, ti attiva i recettori sia palatali che cerebrali. Ma è comunque e sempre un “good food for thought" in tutti i menù proposti. Si mangia decisamente bene e tutti i piatti sono centrati sul gusto, poi, a seconda dell’appetito mentale e dall’apertura a sperimentare nuovi sapori si può scegliere quanto e come farsi accompagnare dallo chef in un percorso degustativo.
In ogni caso, giusto per inquadrare a cosa vada incontro chi si sieda alla sua tavola, gli amuse bouche hanno una connotazione decisamente cerebrale, ispirati dagli elementi naturali, a partire dall’acqua ozonizzata.
Si inizia con un concentrato di pomodoro, da gustare dopo essersi bevuti l’acqua di pomodoro e masticato le foglioline di santoreggia.
A seguire un suo “cult”, il primo elemento fortemente evocativo del percorso: il casoncello crudo ma cotto, in ricordo dei tempi in cui lo chef da bambino “rubava” il casoncello crudo per mangiarselo. Grazie alla tecnica della cottura in sottovuoto la pasta e il ripieno vengono cotti ma al palato arrivano come se fossero crudi.
Il primo piatto vero e proprio del menù è un altro suo signature dish: fegato di fassona, leggermente scottato, salsa bordolese, estratto di mela verde, curcuma, noce e cipolla. È un piatto che ho sempre amato e l’ho trovato ancora più buono, perfetto negli equilibri e per la scioglievolezza della carne.
Le cozze vengono servite con una avvolgente crema d’aglio dolce, balsamite e polvere di caffè, spiazzanti ma gustose e intriganti.
La testa di agone servita con salsa verde è sfiziosa, croccante, burrosa, quasi una millefoglie.
La bruschetta con estratto di pomodoro, scarti di mela è cotta in un concentrato di grana padano. Il concentrato è derivato da un brodo di grana e questa bruschetta è una vera botta di umami.
I fusilli sono serviti, dichiaratamente e volutamente, più che al dente con una colatura di calamaro, limone, menta, rafano e miele, un bel mix di sapori che puntano all’oriente.
Una prova tecnica per un nuovo piatto: pasta con salsa bernese, zafferano e polvere di farina tostata, super gustoso e interessante per il gioco di acidità con la bernese.
Anche la pasta e fagioli ha una sua peculiarità, giocando con le note amare della cicoria, una salsa all’alloro e anche qui il concentrato di grana che spinge sulla complessità di un piatto concettualmente semplice.
L’animella viene servita con essenza di fiori d’arancio e il gioco si fa sempre più interessante, con i fiori d’arancio che arrivano per primi, incontrano il sale a scaglie, si fondono con la dolcezza dell’animella e poi persistono nel palato.
La costina di maiale è gustosissima e servita con fave fritte, tipo popcorn e peperone crusco. L’osso racchiude poi un fondo che resetta il palato con una certa acidità.
Non potevano mancare i casoncelli con una ottima crema al Grana Padano, sempre irresistibili.
Il pre- dessert è in assoluto il piatto più esplosivo della degustazione: linguine cotte in un infuso di sambuco, miele e aceto di miele con pepe Tellicherry, indivia riccia. Un piatto che arriva potente, caldo, avvolgente e persistente al palato.
Il dessert riprende il concetto evocativo dell’infanzia con una crostatina cruda ma cotta, preparata con la stessa tecnica del casoncello e che mi fa tornare bambino perché, anch’io, come Alberto, volevo sempre assaggiare la pasta frolla cruda perché mi piaceva molto.
Piccola pasticceria, nella versione tradizionale (c’è anche quella più estrosa con le cozze e varie erbe).
Conclusione speciale con il gelato alla terra, ricavato dalla distillazione della terra, ovviamente purificata.
Abbiamo quindi finito questa esperienza, con il suo menù più spinto con qualche integrazione e sostituzione per provare piatti che non avevamo mai provato. Nevermind è nome di questo menù che ha la stessa potenza di suono e di innovazione della band di Kurt, non si può non esserne colpiti e coinvolti.
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