Tabi Restaurant – l’essenziale complessità del nuovo corso del locale di Stefano Parisio

Carlo Strafacemer 18 set 2024

TABI RESTAURANT

Via Raffaele de Cesare, 35 - 80132 Napoli, Italia
Tel: +39 081 0513280
Mail: tabifusionexperience@gmail.com
Aperto tutti i giorni a cena. Chiuso la domenica.
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All’insegna della sinergia collettiva gestionale lo storico ristorante d’avanguardia fusion di Santa Lucia, con un nuovo menù ed una carta dei vini in progress.

IL CONCEPT

Il capoluogo partenopeo è un luogo – fisico e mentale – basato su di un’aporia: vernacolare, anarchicamente disfunzionale, referenziale e distruttivo negli afflati relazionali, stereotipato, eppure capace di straordinari slanci di creatività e contaminazione, negli ambiti più disparati, dall’arte alla gastronomia, dal cinema alla musica.

La consapevolezza di queste coordinate non difetta a Stefano Parisio – imprenditore, fondatore ed owner di Tabi Restaurant – eppure dirimente rimane l’entusiasmo, la capacità di stupirsi ed emozionarsi, foss’anche per il settaggio di un nuovo corso da imprimere ad un’attività già radicata come la sua: Tabi continua a restare un punto di riferimento imprescindibile per chi ama la cucina fusion – nikkei, nippo-brasiliana o pan-asiatica che dir si voglia, al di là delle catalogazioni - nell’intero Meridione, senza ombra di infingimento.

Saranno stati gli anni delle sue passioni ed infatuazioni, dei viaggi per il continente asiatico e sud-americano, dove girava ramingo, da turista “evoluto” e curioso, alla scoperta dell’eno-gastronomia locale, dalla Cina al Brasile, approdando al fine-dining, ed alla seduzione dell’haute-cuisine, ed ovviamente dei vini di qualità.

Le ultime intraprese di Parisio – dagli anni dell'affermazione di Jap-One sino alla recente parentesi, breve ma sfortunata, di Sancta Sanctorum – lo hanno rimandato alla svolta dirimente del 2016, anno di fondazione di Tabi, sino all’attualità, con la gestione devoluta ad un giovane ed ambizioso team di sala e cucina, ovviamente sotto la sua egida.

In cucina il tandem Flavio Fujita e Irina Avadanei, in sala Enza Caiazzo, insomma un salotto dove ritrovarsi, con le stelle polari della professionalità e convivialità, senza personalismi e riletture manierate.

Splendida ed evocativa l’ubicazione, alla Via Raffaele De Cesare, nel tratto pedonale, ad un tiro di schioppo da Via Santa Lucia, perfettamente integrata nei flussi turistici, eppure estranea alle “derive oleografiche” di alcuni tratti di Chiaia.

Il dehor esterno è ampio e funzionale, circa quaranta i coperti a disposizione nella sala interna, ad asseverare l’intimità dell’esperienza, composita e stratificata: design sobrio, minimale e centrato, che si può dire avvicina la Campania al resto del mondo, con stampe alle pareti e campiture di colore caldo – blu ed azzurro in primis – a restituire la profondità dell’amato mare, elemento primigenio amato da Parisio.

Si palesa nitidamente la volontà di appropriarsi – in un’accezione relativa, ca va sans dire – della sensibilità estera per regalare un’esperienza che strizza l’occhio al mondo orientale tout-court, emancipandosi dai meri costringimenti gustativi del mood nipponico – “sushi experience” in primis - ed inserendosi abilmente nella narrazione di un territorio di appartenenza, con materie prime locali di assoluta qualità.

LA DEGUSTAZIONE ED I PAIRING

Capitoli del menù divisi in ordine “tematico-sensoriale” fra partenza, condivisione, destinazioni esotiche, ci apprestiamo all’estesa degustazione, con la possibilità alternativa di affidarsi all’estro degli chef, fautori, su richiesta, di un menù degustazione improvvisato “a braccio”, in base alla reperibilità degli ingredienti di stagione, siano di pescato o vegetali.

Si inizia con il “merluzzo in tempura con tartare di mazzancolle e tartufo” – delizioso e dalla perfetta croccantezza – seguito dallo “spiedino di gambero in tempura con gambero rosso ed ikura, tartare di mazzancolle e foglia di cappero, pancetta di patanegra scottata al cannello”, con una giustapposizione di consistenze ben vagliata.

Si chiude la teoria degli appetizer con lo “spiedino di wagyu cotto sulla robata”, un antico forno di origine giapponese.

Ed è la volta del “gyoza con ripieno di wagyu e grasso del Kobe A4 cotto al vapore e servito con salsa tataki fatta con burro, mirin, soia e zenzero” – forse da rifinire la cottura del gyoza home-made, unica imperfezione della degustazione ad avviso dello scrivente.

Segue quello che può essere definito un vero signature dish, il “toast di maialino impanato con il panko, cetriolo marinato e mayo al lime”.

Transitando per l’ortodossia nipponica - con le opportune variazioni - assaggiamo i nigiri, “di capasanta con zest di limone, di gambero rosso con tartufo, di butterfish con teriyaki al tartufo, di toro, di Kobe A4”, arrivando al “gunkan con tartare di salmone, capasanta, gambero rosso e foglia di Wasabi”, sorta compendio gustativo dei precedenti assaggi.

Terminiamo la degustazione “salata” con l’udon con bisque di gambero rosso, gamberi, funghi e katsuobushi, dalla straordinaria complessità di preparazione, un vero e proprio trionfo di umami identitario, caratterizzato anche da un’estetica d’impiattamento impeccabile.

Il dessert home-made è rappresentato dalla “crema al cucchiaio, con cocco, base di biscotto sbriciolato e topping di croccante al sesamo”, rientrante nei dolci caratterizzati dalla non eccessiva invadenza zuccherina, per i quali ho una predilezione radicata.

Appagante anche il reparto enologico, con l’eleganza del Ca’ del Bosco Franciacorta Dosaggio Zero R.S. 2008 Vintage Collection, dalla riserva personale dell’owner, elegante blend millesimato d’annata di Chardonnay, Pinot Noir e Pinot Bianco, con un importante affinamento sui lieviti.

Segue il Riesling Splatlese Trocken Geheimrat 2020 dell’azienda Weinguter Wegeler, con uve raccolte a maturità avanzata – sarebbe stato interessante degustarlo di qualche annata più risalente, comunque notabile – indicativo della passione del titolare per tale tipologia di prodotti, con numerose referenze proposte in carta.

Per chiudere, l’eccellente – ahimè, misconosciuto nella quasi totalità dei casi al grande pubblico – Sho Kamimura, il distillato nipponico più antico, prodotto esclusivamente ad Okinawa, prodotto con riso tailandese, e con il lievito prodotto dai fiori dell’ibisco: agrumato, con un retrogusto che ricorda la dolcezza e morbidezza dello yoghurt, elegante e suadente, una vera gioia per il palato.

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