Un viaggio condiviso al Contaminazioni Restaurant
Contaminazioni Restaurant
Via S. Sossio, 2, 80049 Somma Vesuviana NA
Tel: 081 1874 8325
Aperto tutti i giorni a pranzo e cena; Domenica solo a pranzo. Chiuso il Lunedì.
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L’esperienza culinaria deve poter essere completa, appagante ed edificante: scuotere possibilmente il palato mediante la concentrazione di sapori e l’appeal edonistico, destare l’intelletto grazie ad un arricchimento culturale incentrato sulla filosofia del piatto e far vibrare le corde emotive dell’assaggiatore è il concerto di obiettivi da raggiungere per esaudire le aspettative di un pubblico sempre più esigente. Non tutti gli chef riescono a conseguire tali risultati però.
Ricerca degli ingredienti, padronanza della tecnica, senso dell’estetica… certo! Alle volte però il tutto, per quanto celebrato in una piacevole ambientazione, non è la somma di ogni singolo elemento e non basta neanche la cavillosità di esecuzione ai fornelli, di una strategia di comunicazione, di passaggi procedurali in sala o la musica giusta.
Occorre qualcosa in più. Qualcosa di non necessariamente codificabile o che debba essere scritto in qualche esoterico manuale di cucina.
Il Territorio, sì ma quale? La Tradizione, va benissimo ma cosa vuol dire? Un Food Concept innovativo, assolutamente, ma non è forse verosimile quel detto biblico quando afferma che nihil sub sole novum?
Ripeto, occorre qualcosa in più. E Giuseppe Molaro ce l’ha…
È il suo 110% costante tra tecnica, sentimento e visione, imperterrito e appassionato. Te lo narra con gli occhi e col sorriso, a voce, soprattutto lo fa risuonare al palato mentre si assaggiano, senza accorgersene, i suoi personali ricordi, ricordi di un percorso che alla fine di un viaggio tra i suoi sapori, si rimescolano tra gli ingredienti e diventano anche i nostri, facendoci percepire la struttura materiale e immateriali di piatti che concettualmente nascono in Giappone, fanno il giro del mondo e diventano Vesuviani.
Ed il viaggio ha inizio col suo arrivo a Tokyo: perdendosi entrò in un ristorante con un menu scritto esclusivamente in lingua giapponese, ordinando tre pietanze, tra cui quelle riproposte in un menu impossibile da dimenticare.
Si inizia con un cocktail ottenuto dall’aceto dei fiori di ibisco con una soluzione di alcool ed acqua, dello zucchero di canna, olio al peperoncino, kombucha al tè verde e bitter d’agrume. Il sour giusto per mettere il palato sulla giusta frequenza d’onda, disponibile a cogliere sapori e sfumature odorose in una complessità di cui questa miscelazione intrigante è già foriera. Fanno bella mostra di sé e con una mise elegante il pane fatto con lievito madre, semi di lino e di papavero, la carta musica aromatizzata al rosmarino ed i grissini al porro bruciato, accompagnati da un olio evo fruttato e di media struttura, burro di bufala e sale di Maldon.
La melanzana cotta alla brace con l’accompagnamento di un brodo dashi leggero e dei petali di katsuobushi sarebbe riuscita da sola a stupire per la sua semplice spettacolarità, ma il piatto ha visto il suo completamento con il kamobushi di petto d’anatra adagiato sulla stessa crema di melanzane, yukari in polvere e buccia di melanzana fritta come guarnizione.
Seguono delle deliziose squame soffiate di ricciola con una salsa ricavata dalla soia, dal sesamo bianco tostato e poi pestato, il mirin ed il miele, quindi il panino alla cipolla rossa caramellata, collo di maiale in salsa tare, dedicato a suo padre.
La pasta fillo ripiena di polpa di cosce di pollo cotte a bassa temperatura con timo, rosmarino, alloro e carote, poi servita con una salsa barbecue fatta in casa con in aggiunta un pizzico di curry, è bocconcino delicato e ricco di percezioni gusto olfattive al tempo stesso.
Intanto gli abbinamenti suggeriti in sala fanno il loro lavoro in maniera egregia.
Il battuto di ricciola con fragola fermentata, sedano ed acetosella stupisce non soltanto per intensità di gusto ma persino per una sottilissima untuosità, per nulla impattante per quanto accompagnata da olio alla maggiorana sia fritto che ossidato. A seguire un succulentissimo sgombro marinato in aceto di riso con emulsione di mare, limone e spinaci, cotto con la tecnica giapponese waraiaki.
In perfetta linea di continuità ed in un crescendo di sapori e profumi, pur sempre bilanciati, ecco la trota salmonata. Appena scottata in padella, viene servita in salsa tom kha gai, lime e lattuga. Passaggi decisamente laboriosi per donare una esperienza decisamente tailandese, molto autentica: la salsa viene aromatizzata con verdure, lime, peperoncino, lemon grass, foglie di limone ed anice che veicolano nel brodo tutti i loro umori, per poi rafforzarli e condensarli con radice di curcuma, curry, latte di cocco e nuove note citriche rinverdite. Risultato? Un velluto per il palato ed un bilanciamento di spezie ed aromi pazzesco.
Devo qui ammettere che sullo spaghetto freddo con alghe e zenzero sono cadute tutte le mie difese e, smarrendo il senso critico e la compostezza, per un attimo sono stato quasi tentato di confermare allo chef di poter calare la pasta ma soltanto il pudore mi ha fermato. In un piatto così apparentemente semplice si celava una complessità insospettabile, articolata e laboriosa il cui risultato è stato un tuffo nel blu, quasi ammantato in un guscio di ostrica e circondato da una foresta di alghe.
L’esperienza nel perimetro azzurrato continua con lo scorfano: le carni vengono fatte frollare per una settimana e quindi lasciate macerare per una giornata nell’alga kombu, idratata e tostata al forno. Il pescato viene appena scottato, servito con concentrato di pomodoro, rucola saltata, fagiolini, ravanelli e malto al pomodoro. Una salsa insospettabilmente fatta con lische di pesce tostate e cotte con acqua di pomodoro, filtrata a fine cottura, raffreddata ed emulsionata con succo di lime e olio evo, ha costituito il legante perfetto per imprimere la giusta coralità al piatto.
Fin qui tutto bene, eccellentemente bene direi, parole che esterno raramente, soprattutto perché reputo non essere un buonista e, quando è apparsa sotto ai miei occhi la mela verde al sorbetto di finocchio e barba di finocchio croccante, mi sono fatto persuaso di imbattermi nel fatidico pelo nell’uovo: assaggiato il pre-dessert ho pensato bene di sorseggiare subito dopo del vino per darmene conto… e niente, il lavoro metodico svolto per ammansire l’anetolo ed il fenitolo, nemici giurati del nettare dionisiaco, era riuscito alla perfezione, relegando al palato la quintessenza delle materie prime ed il giusto reset per assaporare la pasticceria del Contaminazioni Restaurant.
Il kinako, caffè e liquirizia è un dessert di tale eleganza, bilanciamento di dolcezza ed aromaticità da mettere in crisi gli amanti del tiramisù, tanto più che non è affatto un tiramisù ma convertirebbe chiunque: preparata una crema namelaka con polvere di fagioli di soia, viene disposta su un crumble al caffè ed adornata di cioccolato fondente, gelato al kinako, gelato alla liquirizia con polvere di caffè e liquirizia.
Al termine, come se non fossimo stati coccolati a sufficienza, ecco il petit-four composto da marshmallows al fleur de bière e fragola, semifreddo al mango e verbena, semifreddo al pistacchio ed il suo croccante ed il mini cocco.
Doveva proprio aver ragione il filosofo Martin Mordechai Buber quando diceva “tutti i viaggi hanno destinazioni segrete di cui il viaggiatore non è a conoscenza” e ciò mi è sovvenuto non soltanto per alcune delle incognite che mi hanno piacevolmente sorpreso ma per una constatazione di cui ho fatto tesoro: la Cucina è un percorso intimo e personale che deve poter diventare un viaggio collettivo per i collaboratori ed un’esperienza itinerante, innovativa e vibrante per ciascun ospite a tavola. Giuseppe Molaro ha saputo svelare i suoi segreti, i suoi viaggi, i suoi ricordi e la sua intimità trasformandoli proprio in quel viaggio condiviso che riunisce testa e cuore e che fonde la materia con lo spirito.
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