Ivano Veccia e la pizza ischitana di qualità.
QVINTO, a Roma Ivano Veccia e la sua pizza ischitana
Via delle Fornaci di Tor di Quinto, 10
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Aperto tutti i giorni a pranzo e cena; chiuso il lunedì.
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Se trasliamo il termine “qualità” dall’ambito gastronomico, dove se ne fa largo abuso, al mondo dell’acustica e alle sue applicazioni, in genere si parla di qualità di un suono relativamente al suo timbro, secondo il grado di maggiore o minore purezza. Vabbè, qua sui timbri e sulla purezza entriamo in un campo minato dove è molto più probabile saltare in aria che restare vivi. Quindi di cosa parliamo - o straparliamo - quando parliamo della qualità di un vino, di un piatto cucinato, di un ingrediente specifico, di una pizza? Le variabili in gioco sono enormi e noi poveri commensali in fondo non siamo che una piccola cosa: espertoni in ghingheri, critici del nulla, gastronomi tromboni, gourmet scorreggioni.
Sere fa sono stato da QVINTO nel parco di Tor di Quinto a Roma Nord. Il posto in sé è molto in linea con la pittoresca fauna umana di Roma Nord, cioè cerca di accontentare l’ostentazione cittadina eppure provinciale di una clientela sgargiante e acchittata come a una serata di gala a Hollywood, tra sale postmoderne dai nomi anglofoni: Lemon Room, Crystal Room, Secret Garden, The Roof, Igloo Garden, Notting Hill, Lounge Bar, Cool Garden, Jungle Garden, Cube Privè…In questo tripudio di inglesismi e umanità varia, dove il menu dei dolci è un lingotto di 20 pagine dorate in stile jet set Dubai, devo essere sincero non mi sarei mai aspettato di mangiare una delle pizze napoletane più buone in circolazione. Fermi tutti, come ci tiene a sottolineare lo stesso Ivano Veccia, pizzaiolo in da house di Ischia, la sua pizza controllatissima e maniacale oramai qua a Roma la chiamano ischitana “perché è un po' più fragrante rispetto alla napoletana media.”
Il primo pregiudizio a saltare nei miei schemi mentali insomma è quello di natura “ambientale”.
È possibile mangiare una pizza di grande tecnica e passione nelle maturazioni, nell’impasto, nella ricerca delle materie prime in un posto così astruso che sopra ha un piano bar con un’astronave uscita paro paro da un film di Ed Wood? Sì, è possibile! E non sono certo io con le mie chiacchiere vuote a convalidarlo ma è lo stesso Veccia a dare sostanza alle parole già con la prima uscita dei fritti. Ne prepara 13 tipi: supplì col coniglio all’ischitana, polpette di bollito dagli scarti della griglia in ottica di sostenibilità ed economia di cucina, crocchè, frittatina, frittatina genovese, supplì ragù e zucca, salsiccia, i tacos che fa da qualche anno prima che diventassero moda.
Qui la “qualità” della farcitura dei fritti è esaltata significativamente dalla panatura, fatta con gli avanzi del pane in cassetta oltre alla pasta della pizza, essiccati e macinati “in casa”. La fragranza della pizza che arriverà perciò è preannunciata già nei fritti sotto forma di panure.
La margherita con due oli, un blend in cottura e la coratina in purezza all’uscita è la prima pizza servita. Impasto leggerissimo, scioglievolezza al palato e digeribilità allo stomaco. Mozzarella di bufala e fior di latte del mini caseificio Costanzo a Lusciano. La farina, dalla quotazione dei grani alla macinazione è realizzata in collaborazione con il Molino Belotti a Coccaglio (Brescia), per realizzare una 0 bella carica e saporita di media/bassa forza. Impasto diretto con lievito di birra e un po’ di madre viva lavorati in una stanza a a temperatura e umidità controllate. Il discorso sulla “qualità” dunque la forza vitalità e filiera delle farine è un’altra di quelle variabili complesse piena di insidie che meriterebbe ricerche, prove e studi approfonditi. Molti pizzaioli compiaciuti prediligono la facile scorciatoia delle farine speciali addirittura autolievitanti di modo che non si capisce più a cosa servano la figura e gli sforzi del pizzaiuolo, visto che la pizza in quel caso si fa quasi da sé. Ivano Veccia invece non si pone limiti dalla fermentazione spontanea al lievito madre sia liquido che solido ai vari prefermenti, pizza in pala, teglia, padellino oltre ai grandi lievitati (panettoni e colombe.) Certo che con un forno a 470 gradi per la pizza napoletana, pardon ischitana, puoi permetterti davvero pochi fronzoli ed elucubrazioni alimentari.
La seconda pizza è una Capricciosa, e qui salta un altro tabù ben radicato nella mia coscienza scassaminchie. Fin da bambino per me la pizza è sempre stata solo la margherita o la marinara anche se scansavo l’aglio. Osservavo con occhio sospettoso i miei genitori o qualsiasi altro adulto quando in pizzeria osavano prendere la capricciosa o altre pizze non conformi all’ortodossia della Margherita o della Marinara. La Capricciosa di Veccia è fenomenale, e se proprio devo dirla tutta è anche la prima capricciosa della mia vita in 47 anni. Crema mamma Bruna, funghi chiodini, carciofi cotti sotto cenere, olive caiazzane, all’uscita il gran cotto arrosto Cillo che col piennolo del Vesuvio del Casale Pietropaolo fanno la differenza su una pizza che ho sempre visto a distanza come accozzaglia di ingredienti della peggio specie. Stupenda!
La terza pizza, si chiama la “2 3 1” che sono i chilometri esatti impiegati dal nostro pizzaiolo da Tor di Quinto a Napoli. Crema broccolo romanesco, salsiccia mista con bufala di Peppe Coscia, broccoli sbianchiti e Giove a scaglie di Peppe Iaconelli dell’azienda “Optimum Sancti”. Qua è evidente la stretta collaborazione, l’intesa reciproca tra il pizzaiolo e il produttore di formaggi, soprattutto sui formaggi aggiunti sulla pizza in uscita proprio per valorizzarli nella loro integrità viste le gradazioni elevate del forno a legna che tenderebbe a disciogliere, mischiare e confondere i sapori distinti dei formaggi.
Carciofi d’Italia è la quarta pizza della serata: crema di carciofi stufati “Nord”, carciofi fritti “Centro”, carciofi grigliati “Sud” menta limone e olio Suonn’ dell’azienda agricola di Colella Giusuè.
Quinta pizza “Magnamose na cosa”: crema di patate sotto cenere, funghi misti, all’uscita rucola di campo, porchetta di nero casertano dell’azienda Girasole cotta da Veccia medesimo nel forno a legna, lime e alloro.
La sesta e ultima pizza, la pizza dessert è la Oro d‘Ischia con fiordilatte, crema mamma Bruna, all’uscita il formaggio Fabula di Peppe Iaconelli, “molle di bufala in crosta fiorita”, polline dell’azienda Oro d’Ischia e marmellata di fichi Pergola d’Ischia. Celebrazione tutta mediterranea delle isole Flegree.
Aggiungo un’ultima nota da invasato sulla “qualità” del vino.
La carta dei vini è un po’ troppo sbilanciata su etichette blasonate ed è un peccato secondo il mio punto di vista che ad accompagnare pizze tanto accurate non ci sia la possibilità di scegliere tra qualche buon vino artigianale o delle lambic e birre acide. Così come il lavoro sulla pizza e gli ingredienti che fa Veccia è austero e rigoroso, la carta dei vini meriterebbe altrettanta predisposizione alla ricerca dei vini territoriali e all’elasticità mentale.
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