Giornalisti, foodblogger & influencer: Qual'è il dovere di chi racconta di gastronomia?

Antonio Luciferodom 9 feb 2020
Fonte: Foto Vvox.it

Interessante articolo quello di businessinsider, che solleva un tema a noi caro.

Qual'è il dovere di chi racconta?

Compiacere il ristoratore, la vanità dei cuochi e gli uffici stampa per garantirsi una comoda seduta tra gli invitati a cene, pranzi e inaugurazioni o raccontare i fatti cosi come sono?

Questo è un qualcosa che mi ha spinto a volere un portale d'informazione gastronomica mio, ero stanco di essere trattato come un consumatore da informare volutamente male in modo tale da potergli spillare danaro. Ne ho fatti di chilometri spinto da buone recensioni e quando poi mi trovavo di fronte la realtà mi sono chiesto: Possibile che sia tutto qui? In me si alimentava il dubbio che forse non ne capivo a sufficienza, se la grande penna raccontava di un posto fantastico, era assai probabile che io non ero in possesso delle competenze necessarie a poter comprendere il tutto.

Il problema più grande in questo momento storico è la mancanza di fondi nell'editoria, la gente legge sempre meno, blog, giornali e portali on-line si moltiplicano all'infinito e siccome queste attività non riescono ad autofinanziarsi sono legate a doppio filo a sponsor, pubblicità e uffici stampa.

Non avendo un budget a disposizione per garantire ai propri autori il danaro necessario a pagare i pasti di cui racconteranno sono "tenuti per le palle" da sponsor e Pr degli uffici stampa, inimicarsi l'uno o l'altro significherebbe essere tagliati fuori e impossibilitati dal poter pagare i propri autori si finirebbe per dovere chiudere il proprio blog, portale o giornale per mancanza di contenuti.

Come se ne esce?

Innanzitutto, anche se brutto a sentirsi la realtà è questa: oggi chi vuole scrivere di Gastronomia deve essere economicamente indipendente, oltre necessariamente al dover possedere le competenze per poter trattare questo argomento.

Qual'è la soluzione?

E se la mancanza di lettori e conseguenzialmente di fondi ( perché si sa un portale letto è un portale economicamente solido) fosse dovuto proprio alle fesserie che si raccontano? Il lettore è oramai disincantato, disilluso e preferisce rifugiarsi nel buon TripAdvisor che al netto di recensioni false e incompetenza di chi scrive riesce a fornire una fotografia molto più nitida e reale dello stato di cose di quanto facciano tanti gastronomi di professione.

Questi "finti elogi" sono una lama a doppio taglio. Scritti da autorevoli penne, o almeno così sono considerati dai ristoratori che fidandosi del giudizio di esperti in gastronomia, di professionisti del settore e accecati dal sentimento narcisistico di specchiarsi nei complimenti ricevuti finiscono per convincersi di essere "veramente bravi".

Il vostro elogio "a fin di bene", vi fa considerare nell'ambiente delle brave persone, lasciate che vi dica la verità: Voi siete il male della ristorazione, le vostre parole gentili, la vostra giustificazione "ero invitato mica potevo parlarne male" induce molti di loro a continuare su una strada sbagliata che ha un nome preciso: CHIUSURA.

Le vostre parole a fin di bene inducono coloro (in un periodo economicamente difficile) che hanno un piccolo tesoretto a investire, spesso senza le dovute competenze in attività ristorative in quanto essendo ignari di come stanno veramente le cose e fidandosi delle vostre parole credono che la ristorazione sia il tanto desiderato ELDORADO.

Per questo, per foodclub.it abbiamo cercato persone economicamente indipendenti, appassionati che amano la gastronomia e che girerebbero alla ricerca del miglior pasto a prescindere dalla visibilità di un sistema decisamente malato, l'unico piacere che ne deriva è quello di condividere un buon consiglio.

Cari amici ristoratori, non sarebbe bello tornare a ricevere dopo tanto lavoro il giusto e meritato elogio? Non sarebbe bello che chi di voi ci mette anima e competenza fosse chiaramente distinguibile in questo mondo dove è divenuto da un bel pò di anni TUTTO BUONO?

Vero, il tempo restituisce tutto a tutti, e siccome i clienti la fuori non sono fessi, chi merita avrà le casse piene e chi non merita finirà per cambiare mestiere, ma scusatemi se mi preoccupo anche di quest'ultimi:

Molti tra le righe delle nostre coscienziose critiche costruttive potrebbero trovare la via per salvare la loro attività e quando la critica non esercita il proprio mestiere dovrebbe sentire il peso della disperazione di chi convinto di far bene in pochi mesi si ritrova in rosso e pieno di debiti.

Per quanto ci riguarda, racconteremo sempre e solo fatti, certo opinabili, non siamo l'oracolo delle verità assoluto, ma questo è il momento in cui ognuno si deve prendere le responsabilità delle proprie parole, per la gente, per i ristoratori e per l'ambiente tutto.

Uno scorcio dell'articolo di Businessinsider.com:
La maggior parte dei ristoranti milanesi (e non solo) si avvale dell’ausilio di uffici stampa che curano la loro comunicazione online e, appunto, con la stampa. Tradotto per i non addetti ai lavori, uno dei compiti principali di un ufficio stampa consiste nell’assicurare una serie di articoli e segnalazioni su riviste e quotidiani – oltre a post sui social – che pubblicizzino il locale in oggetto: per ottenerli, l’ufficio stampa s’avvale di una pletora di contatti (giornalisti, food blogger, influencer) che puntualmente vengono invitati a pranzi e cene stampa – gratuiti, ça va sans dire – in cui testano la cucina.
Ed è qui che casca l’asino: durante un pranzo o una cena offerta, organizzata appositamente per fare bella figura, è davvero possibile riuscire a farsi un’idea obiettiva e imparziale? Ancora: per non rischiare di giocarsi il contatto con l’ufficio stampa – che non di rado tende a eliminare dalla lista dei contatti coloro che sono silenti – il giornalista/food blogger è in un certo senso moralmente obbligato a scrivere qualcosa di positivo, anche solo una segnalazione, nonostante i piatti o la cantina non l’abbiano convinto. Un lettore qualunque, non per forza scafato, interpreta la segnalazione come una raccomandazione ed è portato a provare il tal locale, che non di rado si rivela un posto dove non metterà mai più piede.
E non è finita: sarà un caso che il 90% delle recensioni riporti la descrizione delle portate, dell’ambiente, dei prezzi, ma nemmeno una nota sul rapporto qualità/prezzo? Chiaro che no, perché non pagando è alquanto improbabile avere una simile percezione, e in più sottolineare che un ristorante è tanto fumo e niente arrosto (tanto per rimanere in tema) metterebbe a repentaglio le relazioni con l’ufficio stampa, che interromperebbe la lunga serie di inviti. Così, uno degli aspetti fondamentali che un lettore vuole – e ha il diritto di conoscere – viene puntualmente a mancare: in quel ristorante si mangia bene spendendo il giusto? O siamo di fronte a un overpricing ingiustificato?
La verità è che la stragrande maggioranza dei giornalisti food, oggi, si muove solo ed esclusivamente attraverso gli uffici stampa, rimanendo così imbrigliata in una serie di obblighi, doveri e favori che offuscano lo stato reale delle cose, ossia il cibo.
Certo, non è colpa dei giornalisti e non è colpa degli uffici stampa, bensì del sistema: in un mondo ideale, le redazioni dovrebbero affidare un budget mensile a ciascun giornalista, chiedendogli di fornire una panoramica spassionata ed equanime dei locali da lui o lei scovati e testati, in modo da non alimentare la passività e il clientelismo in cui versa la professione. I soldi però non ci sono: l’editoria, si sa, è parecchio più in crisi della ristorazione, e il circolo vizioso è destinato a non essere spezzato, fatte salve alcune eccezioni.

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