33/33/33 bianco 2017 Vallisassoli, strepitoso vino campano
Vino bianco campano 33/33/33 Vallisassoli 2017: fiano, greco, coda di volpe
Mezzi pochi, quasi nulli, eppure questo vino bianco campano sta conquistando tanti appassionati bevitori. A dargli vita, e anima soprattutto, è Paolo Clemente, dalla sua piccolissima vigna sospesa tra due territori di grande tradizione vignaiola, quelli della provincia di Avellino e di Benevento, che si sfiorano a San Martino Valle Caudina. Qui Paolo ha la vecchia vigna di famiglia, appena un ettaro dove vengono allevate a pergola, e felicemente mi sento di dire, uve fiano, greco e coda di volpe. Nell’uvaggio c’è già l’incontro dei due areali del vino, e nelle sue trame il sentire sensibile di Paolo.
Ascoltando il suo racconto, apprendo che a dargli coraggio e consigli su come lavorare sia stato il grande Antoine Gaita, e la cosa non mi meraviglia considerando la profonda espressività di questo vino bianco nato con le modalità di un vin de garage, nella convinzione che si possa fare bene ovunque se si ha dell’uva viva come questa.
Non vi aspettate cose strane, progetti dal pensiero rivoluzionario, ma un grande vino ben ragionato.
Tra i sommelier o luoghi del vino campani è in corso untam tam felice nel proporre il 33/33/33 Vallisassoli,
entusiasti di quanto Paolo riesca ad esprimere, e decisamente motivati a trasmetterlo ai propri ospiti. Così, a distanza di pochi giorni, capita che me lo abbianoversato nel bicchiere Salvatore Maresca, sommelier del ristorante Josè, stella Michelin di Torre del Greco, e anche Claudio Tramontano, il folletto sospeso sui Gradoni di Chiaia a Napoli, nel suo bar a vin Puteca. Due realtà molto diverse tra loro, accese da un sentire comune, il vino, quanto il capitale umano. Viva Dio esistono!
Di seguito il racconto preciso del giovane produttore di Vallisassoli:
“Tutto nasce da una vigna piantata nel 1987 per mano di mio padre e per volontà di
mio nonno materno al quale papà ha dedicato la vigna - Vigna Michelangelo.
La Vigna di un ettaro è una pergola composta da uve Greco, Fiano e Coda di Volpe.
Situata in via Poeti, nome che, secondo il parere di uno storico del paese, nasce da Pojetum, poggio, in zona detta anche Varrettella, nome con il quale le persone del luogo chiamavano una strada stretta, percorribile solo con un piccolo carretto.
Questa parola varrettella è riportata anche sull’etichetta che è un foglio di mappa del 1714, preso dalla Platea, che è il catasto dei nobili.
L’originale si trova nel Castello Longobardo Pignatelli della Leonessa a San Martino
Valle Caudina.
Ci troviamo dunque in San Martino Valle Caudina, un piccolo paese nella provincia
di Avellino, ai confini con Benevento.
Il nome dell’azienda deve le sue origini alle vicissitudini storiche di quest’area, la
collina dove sorge la vigna era, infatti, un antico accampamento Sassone.
La mia avventura nel mondo del vino si articola a tappe:
- nel 2000 il primo corso da sommelier fatto insieme a mia sorella e al mio amico inseparabile Alfredo Raucci
(oggi Sommelier del Veritas),che si conclude nel 2002. - Nel 2011 muovo i primi passi nella conduzione della vigna, grazie anche ai consigli
di Antoine Gaita, in biologico prima e in biodinamica subito dopo. - A seguire un corso presso la scuola di potatura Simonit& Sirch per imparare l’arte
della potatura soffice. - Nel 2013, nel garage sotto casa, spinto dalla volontà di continuare la tradizione di famiglia, quella di “fare il vino in casa”, e di valorizzare il prezioso vigneto ricevuto in eredità, avvio la prima vinificazione del 33/33/33, con i consigli di quello che io chiamo Enoparacadute: Maurizio De Simone.
In questi anni ho avuto tanti incontri fortunati, con persone che mi hanno aiutato,
ispirato e accompagnato in questo viaggio molto impegnativo. Tanti i vignaioli conosciuti personalmente, o semplicemente attraverso i loro vini,
tutti hanno contribuito a dare forma all’idea di vino che avevo sin dall’inizio, ma che
non sapevo se sarei riuscito a mettere in pratica.
I vini che mi piacciono da sempre sono quelli con qualche anno in più, perché semplicemente raccontano storie diverse e più identitarie, vini più di bocca che di naso.
Per il future c’è una nuova vigna di aglianico, piantata sul Taburno, su un altopiano a
500 metri di altezza su delle ex cave di pietra nel comune di Sant’Agatata dei Goti. Un rosso a questo punto ci vuole!
Ma com’è il 33/33/33 bianco 2017?
Nel pieno delle sue potenzialità, dorato e luminoso nel bicchiere, solare e mediterraneo nei profumi che con tempi lenti si dichiarano: eleganti nelle nuance di pompelmo e albicocca, poi fiori di camomilla, appena balsamico sui toni della salvia, sa di cenere e di liquirizia. Il sorso è ricco, molto coinvolgente, esprime lunghezza e profondità, spinge sull’energia della freschezza, rimanda entusiasmo con un ritmo crescente e costante.
Bravo Paolo!
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