The Dark Side of Restaurants - Track 2 - Harder, Better, Faster, Stronger: Il lavoro in cucina
Il lato oscuro della ristorazione: Psicologia e Stress del lavoro in cucina
THE DARK SIDE OF RESTAURANTS
Le criticità legate al lavoro e nello specifico al modo della ristorazione.
In una serie di interventi, che abbiamo deciso di chiamare “tracce” come in un disco, cercheremo di analizzare temi che spesso vengono messi in secondo piano. Queste dinamiche meriterebbero la giusta attenzione per provare a migliorare un lavoro che di per sé ha, intrinseche, delle criticità che difficilmente potranno essere eliminate se non attraverso dei tavoli di discussione e una maggiore attenzione al fattore umano che manda avanti questo settore.
Dalla cucina alla sala, dalla proprietà ai clienti ecc, cercheremo di analizzare le criticità, in che modo influenzino il lavoro e quali strategie utilizzare perché si possa migliorare la vita di chi opera nel settore ristorativo.
Nello specifico, con questa rubrica andremo ad analizzare come il mondo della ristorazione sia un mondo molto stressante e cercheremo di analizzare e descrivere le strategie da mettere in atto per migliorare lo stile di vita degli addetti al settore, nonostante le criticità intrinseche in questo lavoro (orari, rinunce, rapporti interpersonali, spazi di lavoro ecc).
Il lavoro in cucina
Track 2 - HARDER, BETTER, FASTER,STRONGER: Il lavoro in cucina
Più duro,
Migliore,
Più veloce,
Più forte…
(Daft Punk)
Prima di approcciare i vari aspetti dello stress nell’ambito della ristorazione crediamo sia doveroso fare una panoramica del settore e soprattutto dell’ambiente in cui andremo a muoverci.
In questi anni le trasmissioni televisive e i vari programmi di cucina hanno concentrato l’attenzione sulla figura dello chef rendendolo una figura di rilievo nell’immaginario collettivo, possiamo dire che è stata idealizzata dalla maggior parte degli spettatori, come anche il suo lavoro, basti pensare che negli ultimi anni l’alberghiero ha avuto un incremento nelle iscrizioni.
Ciò che non viene raccontato appieno è il contesto, l’ambiente, cosa fa da contorno e corollario alla figura dell* chef ma soprattutto cosa significa essere un* chef o lavorare in cucina. Innanzi tutto non esistono solo i cuoch* ma esistono anche i camerier*, i lavapiatt*, i titolari (che non per forza lavorano nell’attività), chi produce la materia prima sia essa vegetale o animale, insomma dietro alla figura dello chef c’è un mondo, con il quale tale figura si interfaccia, che non viene quasi mai raccontato o se viene fatto in modo parziale.
Prenderemo in considerazione la figura del* chef non perché sia la più importante, ma semplicemente perché è la più studiata ed ovviamente, con diverse sfaccettature, il lavoro dello chef può essere traslato e rappresentativo per molte figure nell’ ambito della ristorazione.
Quando si parla e si racconta della vita de* chef, si parla dei loro successi, di ciò che hanno ottenuto, come se fosse una cosa normale, semplice, poiché si aveva talento, si aveva una certa predisposizione alla cucina ma si ignora o si racconta solo in parte l'aspetto della fatica, delle difficoltà economiche e delle rinunce personali. Si parla di queste tematiche solamente quando grandi chef lasciano la ristorazione, o quando esce un articolo di denuncia su qualche giornale sulla condotta di questo o quell’altro chef nella sua cucina oppure, purtroppo, quando qualcuno muore. Poi tutto passa in secondo piano e si torna alla normale narrazione senza che sia cambiato poi molto. Questo fa si che la maggior parte delle persone, anche quelle che decidono di aprire un’attività, non abbia idea di cosa significhi realmente lavorare in cucina o di cosa significhi mandare avanti un’attività nel campo della ristorazione più in generale. Negli ultimi tempi, si sta provando a cambiare la situazione, cercando di veicolare una cultura del benessere organizzativo all’interno del settore.
Ma perché dovrebbero essere presi in esame tutti questi punti?
Perché se non si analizza l’ambiente, il contesto e tutti i fattori di contorno non si possono comprendere le dinamiche presenti, di cosa stiamo parlando, degli aspetti positivi e negativi, di cosa andrebbe cambiato, quali siano le criticità che possano portare a determinati problemi come lo stress lavoro-correlato, ecc… ma soprattutto cos’è che spinge qualcuno a scegliere questo mestiere e soprattutto a restare nel mondo della ristorazione.
Che cosa significa lavorare nella ristorazione? E quali dati abbiamo?
Come abbiamo anticipato nella traccia scelta, a chi lavora in cucina o nella ristorazione più in generale viene richiesto sempre di più, di lavorare meglio, di lavorare di più, di lavorare sempre. Quindi il primo aspetto che analizzeremo sono gli orari. Sì, perché, se va bene, in cucina ci si sta almeno 9 ore al giorno 6 giorni su 7, ma se va bene. Molti studi e interviste effettuate in questo campo riportano che circa il 60% degli intervistati ha confermato di lavorare dalle 9 alle 12 ore al giorno e che circa il 78% ha avuto un incidente a causa della stanchezza.
Lavorare così tanto ogni giorno senza riuscire a riposare si ripercuote sia a livello fisico sia a livello psicologico sulla salute dell’individuo. Degli studi effettuati sulla categoria dei colletti bianchi hanno riscontrato che lavorare per più di 60 ore a settimana aumenta in modo significativo le probabilità di stress psicosociale (Lee et all.- 2015)
In Italia il Dott. Antonio Cerasa, ricercatore dell’Istituto per la ricerca e l’innovazione biomedica del Consiglio Nazionale delle ricerche (Cnr-Irib) di Cosenza, è stato il coordinatore della prima ricerca italiana che ha analizzato il legame tra stress, lavoro e salute nella categoria dei cuochi italiani. Con un campione di 710 chef, grazie alla collaborazione con la FIC (Federazione Italiana Cuochi), il modello ha rilevato che gli unici due fattori associati significativamente con la presenza di alti livelli di stress e di malattie organiche a carico dell’apparato muscoloscheletrico e cardio circolatorio sono gli anni di servizio e il numero di ore di lavoro settimanali.
Questo ci fa comprendere come le ore lavorate influenzino la risposta del nostro corpo e della nostra mente.
Dopo che abbiamo capito quanto si lavora nella ristorazione, se ci lavorate già lo sapete, cosa dobbiamo fare?
Dobbiamo capire che questi ritmi non sono sostenibili, se si tiene al nostro equilibrio psicofisico e a quello dei nostri collaboratori, non si può più fare.
Sì, lo sappiamo, stiamo già sentendo le risposte che alcuni di voi ci stanno per dare, “Si è sempre fatto così”, “Sono quelle le ore richieste e che servono alla ristorazione per essere efficiente”, “la cucina è un posto duro, le cose funzionano così, se non ti sta bene te ne vai”. Noi vi stiamo riportando dati scientifici, dati che leggono la realtà delle cose, sta a voi decidere cosa fare. Ma, è necessario prendere atto che non è una situazione sostenibile, c’è bisogno di una cultura del benessere organizzativo anche all’interno dei ristoranti, c’è chi lo ha capito e chi no e purtroppo sono in molti.
In che contesto lavori? Sano o malsano?
Non sono solo gli orari di lavoro, il punto dolente, ma anche il contesto, l’ambiente. Per due aspetti differenti uno fisico ed uno relazionale. Quello fisico riguarda il calore, il “dolore fisico” tagli, bruciature etc., gli spazi che si condividono spesso angusti e lo stretto contatto con altre persone. Mentre l’aspetto relazionale riguarda gli atteggiamenti camerateschi o da “macho”, definito così in varie ricerche effettuate, presenti nelle cucine. Dove prevale spesso un atteggiamento aggressivo e svilente verso i sottoposti, atteggiamento che viene poi introiettato e riprodotto come l’unico possibile. In cucina per lavorare devi essere forte e non puoi essere un debole, devi accettare “i cazziatoni” e stare zitto, lo chef ha sempre ragione. Spesso vieni catapultato in un ambiente senza essere neanche adeguatamente formato. Quanti di voi sono stati messi in una partita (reparto addetto ad una determinata preparazione es partita dei primi) senza essere formato sulle cose da fare ed essere annientato al primo errore?
Spesso i curricula sono gonfiati, oppure si ha una preparazione gourmet (ad esempio sottovuoto, cucina molecolare, etc.) ma non si hanno le basi (fondi, cottura della carne non in sottovuoto etc.) perché spesso le si danno per scontate.
Insomma non è un tutto profumi, poesia, estro e creatività…è sudore, sacrificio, stress e lavoro duro che culmina in un imbuto temporale brevissimo, ovvero il servizio.
Ovviamente ci sono anche contesti sani dove lo chef è una figura si autoritaria ma con una condotta costruttiva e formativa, dove lo staff, per quanto sia possibile, è rilassato mentre lavora. Finché non apriremo il vaso di Pandora facendo vedere ciò che non va e rompendo questa convinzione che si debba essere perfetti 365 giorni su 365 giorni perché questo lavoro è cosi e lo impone il mercato, non avremo mai cucine sane.
Ci sarà sempre qualcuno che ne paga il prezzo e il prezzo in questo momento, lo pagano le persone che lavorano in questi contesti. Bisogna riprogettare e modificare il modo in cui si vede la cucina e la ristorazione in generale, più attenta alle persone.
Lo so che sembra la scoperta dell’acqua calda, passateci il termine, e che di questi tempi è un ulteriore pensiero, ma è l’unica strada possibile. Ovviamente anche le associazioni di categoria e i “rappresentanti” eletti o non eletti, i più ascoltati dai media e dai cittadini/commensali dovrebbero far capire che determinate consuetudini non sono più sostenibili e che ci dovrebbe essere una tutela per i lavoratori di questo settore, essendo da sempre uno dei settori più importanti dell’economia italiana. Perché dobbiamo capire che le persone si ammalano per il troppo lavoro in ambienti malsani.
Ma perché parliamo di cittadini o di commensali?
Perché se si continua a voler pagare poco il cibo, avere la pretesa di avere sempre i ristoranti a disposizione e ad un costo molto più basso del giusto prezzo, non possiamo pensare che qualcuno non debba pagare lo scotto di tutto questo.
Ci è rimasta impressa una frase inserita nell’articolo del The Guardian, dove veniva analizzata la ricerca effettuata da The Unite, il più grande sindacato inglese, in merito agli chef, la frase è la seguente “Come commensali possiamo lamentarci del costo dei nostri pasti al ristorante. Potremmo desiderare che fosse diversamente, ma la realtà è che, troppo spesso, non siamo noi a pagare un prezzo troppo alto. Sono le persone che cucinano” - oltre ai camerieri, ai baristi e gli agricoltori etc. aggiungiamo noi.
E allora dopo tutto questo perché lavorare ancora in cucina?
Non lo sappiamo, ma non perché non dovreste farlo ma piuttosto perché ognuno ha motivi differenti.
Ci dovete scusare, lo sappiamo abbiamo disatteso le vostre aspettative, vi aspettavate una risposta alla domanda perché voglio lavorare in cucina, ma non lo sappiamo. Non vi conosciamo, non conosciamo ogni persona che leggerà questo articolo, non conosciamo i vostri pensieri perché semplicemente non abbiamo parlato con voi, ognuno ha la propria storia e i propri vissuti. Quindi lavorare in cucina per ognuno di voi ha un significato diverso, siamo psicologi, non indovini! Possiamo basarci sugli studi, ovviamente, ma ci soffermiamo a dirvi una cosa. Non siamo noi a dirvi il motivo per cui avete scelto la ristorazione come lavoro, questo lo dovreste sapere voi. Possiamo dirvi che a volte l’amore, il riconoscimento, la passione per questo lavoro non basta, perché se non mettiamo un freno a delle pessime consuetudini che minano il lavorare in cucina, o la ristorazione più in generale, un giorno, probabilmente, direte basta. Questo non è un nostro pensiero ma un dato supportato da statistiche e riscontri di persone che hanno lavorato per anni nella ristorazione, non perché come dirà qualcuno “non abbastanza forti per la cucina” ma così forti da capire quando si sta per superare il limite e dire non voglio farlo perché ci sono cose più importanti, come la salute psicofisica di ognuno di voi.
Approfondiremo ulteriormente tutti questi temi singolarmente. Sappiamo di aver messo il riflettore su la maggior parte degli argomenti negativi ma troppo spesso sono in luce solamente quelli positivi.
Fateci sapere cosa ne pensate, a presto con una nuova track.
Alla prossima traccia, vi aspettiamo!
Next Track - CAN’T STOP – Cucina, sesso, droga e rock ‘n’ roll
Nel frattempo se volete passare un po' di tempo accompagnati da un po' di musica vi lasciamo il link della Compilation creata per questa rubrica. Siete curiosi di sapere quali saranno i prossimi temi…cercate di scoprirlo attraverso i brani.
La Playlist - The Dark Side of Restaurants
Track 1: Under Pressure
Seguici su facebook foodclub.it
Entra nel vivo della discussione sul nostro gruppo, un luogo libero dove professionisti della ristorazione, clienti e #foodlovers si confrontano sui temi del giorno: Join the #foodclubbers Be #foodclubber