Pecora, la regina della cucina sarda.

Giovanni Fancelloven 10 gen 2020

La pecora ha in Sardegna una colta e vasta letteratura.

Autori classici l’hanno variamente documentata:

- Marco Terenzio Varrone, letterato e agronomo,scriveva che i sardi erano soliti vestirsi con pelli e lana di pecora; erano abili allevatori, grazie al clima favorevole dell’isola, e con queste bestie contribuivano all’alimentazione del popolo romano mediante il rifornimento della loro carne;

- Diodoro Siculo, storico,nel ricordare la lunga e dura lotta tra i Romani e gli Iliesi, nascostisi nelle inaccessibili montagne del centro Sardegna, scrisse che questi traevano sostentamento dal numeroso gregge di pecore che allevavano, dal quale ricavavano latte, formaggi e carne.

I Sardi hanno nella loro lingua diversi nomi per indicare la pecora: arveghe, barveghe, berbeche, birveghe, biveghe, berbeghe, ilveghe, iveghe, verveghe, barbei, brabei, brebei. Nomi apparentemente ben lontani dal latino pecus ovillium, invece, traggono proprio origine da quella lingua: vervex, berbex vervecinus, verveceus..

La pecora, come altri animali, veniva cotta, un tempo e oggi sempre più raramente, in un forno sotterraneo e chiamato in sardo “cota a carrarzu”, termine derivante dal latino“carnarium". Si procedeva in questo modo: “…. dapprima si scava in terra una fossa; viene pulita, vi si stende un letto di rami e di foglie e vi si pone l’animale intero, al quale è lasciata la pelle. Il tutto si copre con un sottile strato di terra e si appiccasopra un grande fuoco, che viene alimentato per numerose ore. …” (M.L. Wagner in “La vita Rustica”). Talvolta, un animale più piccolo venivamesso all’interno dell’animale più grosso e cotto insieme.

La preziosa carne di pecora, di un animale che pascola allo stato brado e si alimenta di erbe spontanee profumate, è un ingrediente ancora fondamentale nella cucina dei Sardi. Si continua ad apprezzarla cucinata nei metodi tradizionali, principalmente nelle cucine di ogni casa e negli ovili: arrosto, in brodo, al sugo, a cassola con le patate; a ghisadu; sotto forma polpette; a fettine impanate e fritte o a bagnomaria con aromi spontanei, nei ripieni delle verdure e dei ravioli. Deliziosi sono i sanguinacci e le interiora intrecciate e cotte sulla brace.

Tutti metodi trascurati dalla nuova cucina ufficiale, quella praticata dai cuochi di professione, perché sinonimo di metodi di cottura arcaici e superati, seppur pregni di cultura. Chi prende in considerazione la carne di pecora, pensa: al solo filetto; al muscolo magro della coscia; alla costina completamente pulita e magra.

Con la riscoperta della cultura gastronomica tradizionale, ormai illustre sconosciuta dai professionisti, e adottando nuove e sapienti tecniche di cottura, si darebbe nuovo slancio ad una economia del settore sempre più in crisi, e si avrebbe un’idea precisa della cucina di un territorio. Si preferisce, invece, assecondare la ricerca di esotismi modaioli. Nelle locali rassegne, si è propensi ad invitare un cuoco televisivo, ben lontano dalla cultura gastronomica isolana, anziché un bravo e vero cuoco e preferibilmente indigeno. Nell’Isola, ultimamente, si è più affascinati dalla cucina orientale che da quella del bacino del Mediterraneo.

Foto di Giacomo Manca, bestiame dell'Azienda Agricola Cabigliera&Zidda di Ozieri.

Altri articoli