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MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

Ricetta di Pasqua della Minestra Maritata: storia e interpretazione, racconta Ivan De Benedictis

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

La Minestra Maritata, uno dei piatti più antichi della tradizione partenopea; forse la ricetta che meglio rappresenta l'animo e la cultura gastronomica di questa regione: ingredienti poveri valorizzati al punto da diventare attesissimi sulle tavole più ricche, quelle delle feste. Questo "matrimonio" in tutte le sue fasi ce lo racconta lo chef Ivan De Benedictis

Pasqua è vicina e noi siamo già pronti a sederci a tavola. Le festività sono tutte un tripudio di pietanze della tradizione, eppure la Pasqua - sarà perché è breve ma intensa, sarà perché punto di arrivo dopo 40 giorni di moderata gola (giorni di scammaro, del mangiare di magro) - sembra esserne un po’ più ricca. In Campania - come abbiamo detto - si inizia dal giovedì Santo con la zuppa di cozze e dopo digiuno o simil tale del venerdì, si prosegue con i casatielli e tortani del sabato che precedono i banchetti della domenica di Pasqua ed i rinforzi del lunedì in Albis.

LA MINESTRA MARITATA

Perché si dica "maritata" lo sapete ormai tutti ma sapete perché si chiama "minestra"?

La minestra prende il suo nome da minestrare, amministrare, perché veniva servita a tavola, ossia "ministrata", dal capofamiglia. La minestra è da considerarsi un primo piatto (servito dunque dopo l'antipasto) che ha avuto larga presa in tante cucine di tutto il mondo, ed i motivi sono due: praticità ed economia. Entrambe le motivazioni si appoggiano alla possibilità di reperire ingredienti base che permettono la preparazione di tale piatto (ingredienti che possono facilmente variare anche in base al gusto personale).

E allora quale sarebbe la ricetta autentica della minestra maritata?

Udite, udite: non è possibile parlare unica e sola ricetta per questo piatto. I motivi sono tanti: l'impossibilità di accaparrarsi determinati ingredienti, il gradimento di certi tipi di tagli di carne ma anche di alcuni tipi di verdure, la minuziosa esecuzione che parla di brodi e/o di bolliti oppure di soffritti di base o aggiunte secondarie... Insomma quella della minestra maritata è una di quelle che hanno tradizione prettamente familiare.

Pensate che anche il nostro cantastorie della tradizione, lo chef Ivan De Benedictis, si è dovuto arrendere a questa verità!

Tant'è che nella sua stessa famiglia questa ricetta viene riprodotta con differenti approcci, infatti racconta: "mia madre, a differenza mia, prepara la cosiddetta menestrella".

Ivan è un cuoco napoletano innamorato della cucina - napoletana e non - e della città, curioso conoscitore della storia e delle leggende. Ho voluto affidarmi a lui in questa full immersion nei piatti simbolo del periodo pasquale non perché sia detentore di assolute verità, piuttosto perché è una persona che si interessa della tradizione napoletana per pura voglia di conoscere e arricchire il proprio bagaglio più che il portafoglio - e già questo mi aveva convinta - ma anche perché, in linea con un pensiero di libertà e rispetto (come dovrebbe essere quello dell'intero mondo cucina), accetta che esistono delle tradizioni che divengono proprie in uno storytelling tutto personale.

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

È Ivan De Benedectis,

un vero cantastorie col cuore d’altri tempi e la gentilezza che auguro al mondo. Ivan è lo chef del ristorante Ciro al Borgo Marinari, sul lungomare di Napoli ed immerso nella suggestiva atmosfera di Castel dell’Ovo, dove ripropone in maniera eccellente preparazioni intramontabili della nostra cucina regionale: spettacolare il suo ragù, irrinunciabile la sua genovese, ammaliante il suo spaghetto con le vongole. E mi fermo!

Potrei continuare, certo, ma mi fermo e lascio a lui stesso l'onere di raccontarsi e immergerci nella sua ricetta della "menestra mmaretata"!

Premesso che ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove la cucina è la principale discussione, devo tanto a mia madre e mia nonna.
Ho preso il diploma di cucina presso l’istituto Ipssar Rossini a Piazza Bagnoli con grandi insegnanti tra cui gli chef Peppe de Cesare, Ugo D’orso e Peppe Scuotto.
Eppure sono entrato per la prima volta in cucina all’età di 16 anni con Angelo Falanga, chef del ristorante La Cantinella (di Giorgio Rosolino) che all’epoca era stellato. Da lì ho cominciato a girare un po’ l’Italia: ho iniziato con Cattolica e Gabicce Mare, a farmi le ossa negli hotel; poi a Emilia Romagna e Marche si sono aggiunte Toscana e Veneto, rispettivamente con un hotel a 4 stelle nella Conca di Capoliveri all’isola d’Elba ed a Peschiera del Garda, dove resto più di un anno.
A quel punto ho sentito l’esigenza di tornare a Napoli: qui ci sono state diverse avventure in locali come Radici dove sono stato il sous chef di Carlo Spina (attuale chef di Veritas, 1 stella Michelin) e ho potuto fare un’esperienza fondamentale per me e per la mia crescita; a seguire c’è stato La Contessa ai Camaldoli (un locale del 1864) con don Luigi Di Maio; ancora Les Gagà e CA.PE.RI (acronimo di carne - pesce - riso) dove ho potuto lavorare a braccetto con Riccardo Facchini.
Ad oggi, e da ben 6 anni ormai, sono al Borgo Marinari da Ciro 1936 ed ho una brigata fatta di vecchi amici di scuola alberghiera e non.
Volevo tornare a fare la mia cucina, quella della mia tradizione, che reinterpreto grazie alle mie esperienze: e quelle familiari e quelle fatte nelle varie cucine e regioni. La cucina vista in questa ottica dà modo di difendere le origini, le radici e rende possibile pensare sempre che domani possa essere un giorno migliore.
Se potessi scegliere di nascere nuovamente io sceglierei ancora di fare il cuoco, solo in un’altra epoca: quella della grande cucina nelle case dei signori, quella della grande materia prima lavorata e conservata, quella in cui davvero si creavano tendenze. In parte sono stato davvero fortunato perché avendo lavorato con grandi maestri diversamente giovani ho potuto affondare la mani nella vera tradizione. Ho sempre pensato che fare la cucina tradizionale sia una sfida seria e profonda: se fai cucina d’autore, beh, certamente sarai avvantaggiato sul fatto che i giudici - o coloro che si cimentano in tale ruolo - si riducono notevolmente; se, invece, fai un buon ragù hai il numero di “spettatori” che si equivale con il numero dei giudici.

La minestra maritata di Ivan De Benedictis

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

È il piatto numero uno per la mia concezione di storia e tradizione perché è la ricetta che può davvero rappresentare la vecchia Napoli, vale a dire quella Napoli che non vedeva la presenza del pomodoro nella sua cucina.

Spoiler: esisteva una Napoli con una sua educazione gastronomica pure prima d'a pummarola!

Il pomodoro arriva in Europa dal Perù, precisamente giunge a Siviglia intorno al cinquecento, per poi sbarcare in Italia; eppure dobbiamo aspettare il settecento per arrivare a capire come svolgere al meglio la lavorazione di questo prodotto, fino a renderlo parte delle tante preparazioni.

Indubbiamente un catalizzatore è stato l'arrivo della pasta che ha avuto una grande influenza sulla dieta del luogo, sicuramente dovuta pure alla diffusione dei pastifici di Gragnano voluti (anche) da re Ferdinandone. Addirittura, guardando ad un regno di Napoli allargato, si può credere che la stessa amatriciana sia la conseguente evoluzione della gricia; ma restando sul nostro territorio possiamo ampiamente parlare di ragù o - attenzione, first reaction shock - di spaghetto alle vongole. Ebbene sì, perché solo quando è macchiato lo spaghetto alle vongole si può dire tale: tutti i cuochi della vecchia guardia sanno che lo spaghetto alle vongole in bianco si chiama spaghetto alla Posillipo, detto così perché fatto con le vongole raccolte appunto a Posillipo, a Marechiaro, Gaiola, Trentaremi. Esattamente come lo spaghetto alle cozze di Santa Lucia che si faceva in bianco.

Prima ancora di essere identificati come mangiapasta, i napoletani venivano detti mangiafoglia :

perché pare fossimo un popolo che mangiava prevalentemente verdure. Questo è sicuramente la superficie della cosa, leggermente più in profondità si può sottintendere che siamo un popolo che le foglie ha sempre saputo e sa come lavorarle. Dal friariello, versatile in quanto crea un forte connubio sia con il pesce che con la carne; alla scarola, che ha la stessa versatilità e che si è conquistata una grande centralità sia come singola che in coppia, ad esempio nelle pizze (leggi QUI) o nei piatti tipici dei periodi di festa oppure nelle zuppe, come scarola e fagioli ed a proposito di legumi e verdure mi viene in mente anche la zuppa di lenticchie e spinaci.

Forse l’apice di questa attitudine, di questo esser mangiafoglia, sta proprio nella minestra maritata.

Piatto importante, robusto, ricco e di sostanza. Non facile da eseguire ma caratteristico non solo per le radici nella nostra terra, nel nostro popolo, nelle nostre tavole e nel nostro cuore, ma principalmente da una gran voglia di portarlo avanti nel nostro cammino delle tradizioni. Perché se è vero - come è vero - che la storia la scrivono i vincitori ciò comporta pure che siano proprio essi stessi a scegliere cosa e come raccontarlo, qualche volta anche provando a cancellare. E se ne gli anni la minestra maritata è stata sempre raccontata, evidentemente

chiunque abbia posseduto la nostra città ha ritenuto opportuno narrare e divulgare ai posteri.

LA RICETTA

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

Partiamo dal fatto che il nome sia una vera e propria una goliardia napoletana perché in questa preparazione avviene l’incontro tra verdure e carni. Questa preparazione di fatti rappresenta una vera e propria danza, fatta di tempi giusti, avvicinamento, conoscenza, fidanzamento e matrimonio.

Ingredienti per 6 persone:

- 500 gr borragine
- 500 gr scarola
- 100 gr torzelle
- 500 gr verza piccolina
- 200 gr bietole o spinacini
- 500 gr cicoria
- 2 coste di sedano
- 500 gr cipolla paesana
- 400 gr carote tagliate finemente
- 300 gr di lardo secco
- 2 spicchi di aglio senza anima
- 1 gallina (senza piume)
- 200 gr tracchie di maiale (costine)
- 250 gr muscolo di manzo (gamboncello di coscia)
- 250 gr gallinella di maiale
- 250 gr coperta di costata di manzo
- 300 gr pecorino stagionato

LE CARNI

  • la gallina: avendo pelle molto grassa non va aggiunto olio perché basta quello rilasciato dalla gallina stessa.
  • il misto di manzo e maiale; muscolo, gamboncello di coscia, copertina di costata che sono carni che hanno bisogno di lunghe cotture in modo da scaricare tutto il loro sapore e poi si mettono le costine (tracchie) di maiale e la gallinella di maiale.

I BRODI... impropriamente detti

Perché dico questo? Perché in realtà sono bolliti che solo dopo la cottura delle carni (singolarmente) possono essere uniti e ridotti. Appena sfruttate le carni, infatti, si alzano e si mettono in un recipiente eliminando le ossa e spolpandole per bene. Si uniscono dunque tutte le carni.

VERDURE

Io utilizzo borragine, scarolina, spinacini, cicoria, torzelle ebietole. Storicamente esiste una versione in cui venivano aggiunte anche le puntarelle ma io non le preferisco; esiste però il mio tocco personale: la presenza di un po' di verzotto (verza appena nata, piccolina) per dargli un profumo.

Procedimento

Iniziamo con l'avvicinamento...

  • Prepariamoci a cuocere le carni - come detto sopra - ognuna nella propria pentola e per lungo tempo, fino a che sia la gallina che il misto di carni (manzo e maiale) non abbiano scaricato tutto il possibile. A cottura ultimata possiamo unire i due "bolliti" di carni.
  • Intanto che le cotture vanno, possiamo lavare e preparare le verdure: devono essere bollite in acqua salata pulita, ognuna nella propria pentola separata. Dopo un paio di minuti di cottura si tirano fuori, si strizzano e finalmente sono pronte per essere unite.

...e poi facciamo la conoscenza!

Se ci avete fatto caso fino ad ora non abbiamo mai aggiunto sedano, carote e cipolle. Questo è il momento! Nei due bolliti (uniti) immergiamo tutte le verdure preparate e aggiungere una mirepoix per dare una nota di freschezza al piatto.

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

Arriva il fidanzamento...

Lasciamo prendere confidenza, lasciamo bollire e diamo un paio di mescolate e poi uniamo le carni.Ci prepariamo ora all’allacciata di lardo, che è una parte fondamentale in quanto rappresenta il bouquet di aromi più importante al momento della minestra servita perché si sente il profumo di aglio ma non se ne recepisce la presenza. Oggi si usa lardo di colonnata o di cinta senese ma immaginiamoci se a Napoli all’epoca si poteva pensare di farsi mancare in cantina un prodotto del genere: dunque si prendeva un lardo paesano (un bel pezzo di lardo generoso) e due spicchi di aglio e si inizia a battere ed allacciare con una mannaia da macelleria.

...ed il matrimonio s'ha da fare!

Non appena il composto raggiunge una consistenza pomatosa, a crema, si può aggiungere al composto ma solo dopo ebollizione. A questo punto possiamo inserire anche i quadrotti di scorza di pecorino.

QUALCHE CENNO STORICO DI APPROFONDIMENTO

I mangiafoglia

L'immagine più diffusa dei napoletani è probabilmente quella che li associa a mangiamaccheroni: lazzari felici e attenti sempre a sfruttare al meglio anche le avversità.
MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!
(Brogi, Carlo 1850-1925 n. 10458, Napoli - Mangiamaccheroni napoletani)
Ebbene prima di ciò i napoletani venivano individuati come mangiafoglia, per la loro alimentazione a base di foglie, appunto, di verdure.
Se ne trovano riferimenti scritti fin dal 1471 in un sonetto di Luigi Pulci, dedicato al Magnifico, in cui descrive il forte legame dei napoletani con la foglia; e poi ancora Giulio Cesare Cortese (Micco Passaro 'nnammurato - 1621) a Perruccio (Agnano zeffonato - 1678).
Scritto nel 1700 c'è il Vitto pitagorico di Vincenzo Corrado (un cuoco di corte ed ex frate che editò una serie di libri di ricette): quello che sembra sia il primo libro di cucina vegetariana.
Nel 1800 sono presenti una serie di trattati di cucina, ad esempio L' Atlante gastronomico del regno di Napoli ma anche il Vocabolario botanico napolitano del Federico Gusumpaur, del 1887, in cui sono esposte tutte le varietà di verdure e frutta del regno di Napoli.

La foglia: una e centomila

MINESTRA MARITATA: tradizione in libertà!

Con mangiafoglia si vanno ad indicare le abitudini alimentari del popolo napoletano tendenti all'uso di verdure e ortaggi. Un'abitudine dovuta a tanti fattori: dal tipo di coltivazioni, al fatto che questi prodotti potevano dare grande nutrimento, passando per le politiche espansionistiche attuate dal vicerè Pedro di Toledo che "ampliò" le mura della città al fine di annettere terreni atti alla produzione di tali verdure che appunto sostenevano il fabbisogno dei napoletani; ed infine anche una abitudine che ha "facilitato" il sostentamento alimentare in un momento di crisi.

Il legame, il binomio cantato dai poeti (napoletani - foglia) dunque è frutto di una alleanza scaturita dalla necessità che il popolo riuscì a mettere a punto con la sua terra. Queste piante, una volta affinati metodi di coltura e raccolta, riusciva ad offrire per ogni stagione diverse parti di se (infiorescenza, foglie, costole fogliari, gambi) da destinare alla cucina.
Più avanti è poi stato capito che con il termine foglia non si voleva indicare tutta la verdura bensì una particolare varietà di verdura a foglia molto presente nelle abitudini alimentari: la brassica, della famiglia del cavolo e - a fine cinquecento - seconda solo al pane ed al vino nelle diete del popolo napoletano.

Le origini della ricetta

Nel 1500, sul calare del secolo, Giovanni Battista del Tufo scrisse Il Ritratto o modello delle grandezze, delizie e meraviglie della nobilissima città di Napoli , un testo poetico in cui vi è un'esposizione descrittiva che si presenta disordinata, spesso indugia volentieri sulla vita dei napoletani più che sul luogo, sugli usi e costumi del popolo, costituendo così un'interessante testimonianza delle tradizioni popolari dell'epoca. Nel testo sono descritte tutte le varie foglie e torze che il popolo napoletano conosceva e soprattutto come dovevano essere utilizzate: insomma ci troviamo di fronte una delle prime ricette della minestra maritata.
Qualcuno data questa ricetta ancor più addietro nel tempo avendo trovato similarità nel "De Re Coquinaria" di Apicio, a cavallo fra il I secolo a.C. e il I secolo d.C.; ma pare che il suo arrivo ufficiale a Napoli sia avvenuto nel 1300 con gli spagnoli, deduzione dovuta alla spiccata somiglianza con la minestra medievale olla potrida, dalla quale sarebbe derivata in seguito anche la cassoeula.

Il matrimonio

Facile capire il perché si parli di nozze quando si nomina questa ricetta, alludendo all'incontro delle verdure con la carne.
Le foglie sono un ingrediente eccezionale che per la capacità di insaporire, saziare e accostarsi ad un gran numero di proteine. Motivi per cui è stato quasi un passaggio obbligato quello di divenire fondamentale in questa cucina regionale: infatti sta bene sia con la carne che con il pesce. E non solo perché ovviamente il periodo storico prediligeva l'uso della carne ma anche in questo c'è varietà in quanto i tagli utilizzati sono variati (per necessità e possibilità) nel tempo alternandosi tra quelli più nobili e quelli da scarto e interiora.
Il Marchese Del Tufo stilava una lista di ingredienti con: salsicce di vari tipi, soppressate, pancetta, prosciutto, muso di vitello, piede di porco, carne secca, un orecchio, formaggi, finocchi e anici. Nel 1600 il Tardacino (Bartolomeo Zito) usava invece giovenca grassa, cappone imbottito, gallina casereccia, salsiccione, una fetta della parte genitale della scrofa, salsicce cervallate, cacio, ossa, foglie e spezie.

Ricettario Pasquale Extra:

- Capelline caso e pepe
- Zuppetta alici e vongole
- Tubetti cacio e uova con il peccato
- Stocco con patate al forno
- Ceci e fettucce spezzate
- Baccalà pomodoro, olive e capperi
- Spaghetti aglio e olio
- Tortino di patate, spinaci e pesce bandiera
- Omelette con formaggio detta Filoscio
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- La pastiera di Peppe Guida
- La pastiera con latte e ricotta di pecora dello chef Gianmarco Carli
- La pastiera di riso beneventana di Gerardo De Santo
- Pastiera con ricotta, latte e burro di bufala di Cristiano Trapani
  • CASATIELLO DOLCE
- Casatiello dolce di Procida
- Casatiello dolce napoletano di Nicoletta Patre

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