Zuppa di cozze: tradizione o falso storico?
Ricette di Pasqua: la zuppa di cozze del Giovedì Santo tra leggende e tradizioni
La vera zuppa di cozze del giovedì Santo: racconta leggende, storia e ricetta del piatto della tradizione napoletana lo chef Ivan De Benedictis
Pasqua è vicina e noi siamo già pronti a sederci a tavola. Le festività sono tutte un tripudio di pietanze della tradizione, eppure la Pasqua - sarà perché è breve ma intensa, sarà perché punto di arrivo dopo 40 giorni di moderata gola - sembra esserne un po’ più ricca.
In Campania e molto più a Napoli città - anche se si è diffusa (e va diffondendosi pure nelle altre province) - si inizia dal giovedì Santo con la zuppa di cozze.
Si tratta di un piatto simbolo della tradizione napoletana, una preparazione che - oltre per il gusto - rappresenta un cardine della cucina partenopea anche perché emblema di un momento fondamentale della Quaresima per il popolo: l’ultimo pasto dei giorni di scammaro, del mangiare di magro. Dopodiché sarebbero venuti casatielli e tortani (e parlaremo anche di questo!), banchetti della domenica di Pasqua e rinforzi del lunedì in albis.
Ma tra mille varianti proposte anno dopo anno, qual è la ricetta della vera zuppa di cozze, quella autentica della tradizione napoletana?
Ho deciso di farvelo raccontare da un cuoco napoletano innamorato della cucina - napoletana e non - e della città, curioso conoscitore della storia e delle leggende.
È Ivan De Benedectis, un vero cantastorie col cuore d’altri tempi e la gentilezza che auguro al mondo. Ivan è lo chef del ristorante Ciro al Borgo Marinari, sul lungomare di Napoli ed immerso nella suggestiva atmosfera di Castel dell’Ovo, dove ripropone in maniera eccellente preparazioni intramontabili della nostra cucina regionale: spettacolare il suo ragù, irrinunciabile la sua genovese, ammaliante il suo spaghetto con le vongole. E mi fermo!
Potrei continuare, certo, ma mi fermo e lascio a lui stesso l'onere di raccontarsi e trasportarci alla corte di Ferdinando I di Borbone quando la zuppa di cozze e è nata!
Premesso che ho avuto la fortuna di nascere in una famiglia dove la cucina è la principale discussione, devo tanto a mia madre e mia nonna.
Ho preso il diploma di cucina presso l’istituto Ipssar Rossini a Piazza Bagnoli con grandi insegnanti tra cui gli chef Peppe de Cesare, Ugo D’orso e Peppe Scuotto.
Eppure sono entrato per la prima volta in cucina all’età di 16 anni con Angelo Falanga, chef del ristorante La Cantinella (di Giorgio Rosolino) che all’epoca era stellato. Da lì ho cominciato a girare un po’ l’Italia: ho iniziato con Cattolica e Gabicce Mare, a farmi le ossa negli hotel; poi a Emilia Romagna e Marche si sono aggiunte Toscana e Veneto, rispettivamente con un hotel a 4 stelle nella Conca di Capoliveri all’isola d’Elba ed a Peschiera del Garda, dove resto più di un anno.
A quel punto ho sentito l’esigenza di tornare a Napoli: qui ci sono state diverse avventure in locali come Radici dove sono stato il sous chef di Carlo Spina (attuale chef di Veritas, 1 stella Michelin) e ho potuto fare un’esperienza fondamentale per me e per la mia crescita; a seguire c’è stato La Contessa ai Camaldoli (un locale del 1864) con don Luigi Di Maio; ancora Les Gagà e CA.PE.RI (acronimo di carne - pesce - riso) dove ho potuto lavorare a braccetto con Riccardo Facchini.
Ad oggi, e da ben 6 anni ormai, sono al Borgo Marinari da Ciro 1936 ed ho una brigata fatta di vecchi amici di scuola alberghiera e non.
Volevo tornare a fare la mia cucina, quella della mia tradizione, che reinterpreto grazie alle mie esperienze: e quelle familiari e quelle fatte nelle varie cucine e regioni. La cucina vista in questa ottica dà modo di difendere le origini, le radici e rende possibile pensare sempre che domani possa essere un giorno migliore.
Se potessi scegliere di nascere nuovamente io sceglierei ancora di fare il cuoco, solo in un’altra epoca: quella della grande cucina nelle case dei signori, quella della grande materia prima lavorata e conservata, quella in cui davvero si creavano tendenze. In parte sono stato davvero fortunato perché avendo lavorato con grandi maestri diversamente giovani ho potuto affondare la mani nella vera tradizione. Ho sempre pensato che fare la cucina tradizionale sia una sfida seria e profonda: se fai cucina d’autore, beh, certamente sarai avvantaggiato sul fatto che i giudici - o coloro che si cimentano in tale ruolo - si riducono notevolmente; se, invece, fai un buon ragù hai il numero di “spettatori” che si equivale con il numero dei giudici.
LA ZUPPA DI COZZE
La zuppa di cozze nasce nelle cucine di Palazzo Reale, a Napoli, su ordine di Ferdinando I di Borbone, marito di Maria Carolina d’Amburgo.
Noi cuochi partenopei dovremmo considerarci tutti suoi sudditi perché dobbiamo davvero tanto a questo monarca - rinominato Re Ferdinandone - che è stato un grande amante della cucina e del cibo in generale tanto che di l’artefice della costruzione di Palazzo Fuga a piazza Carlo III, detto anche albergo dei poveri, presso il quale faceva consegnare pasti al popolo più disagiato.
Tanti grandi piatti espressione della cucina sono stati creati anche grazie a lui: dal sartù di riso al gateau di patate agli arancini siciliani fino alla tiella di Gaeta. E non solo: proprio perché grande mangiatore ma anche grande conoscitore della cucina, amava che la sua tavola fosse ricca e confortevole; ecco perché si deve a lui l’invenzione della forchetta a quattro rebbi, idea nata dalla necessità di avvolgere gli spaghetti.
La zuppa di cozze che oggi come oggi troviamo è in realtà la rivisitazione di un altro piatto ovvero “‘e cozz’ dint’ ‘a gonnola” cioé “cozze in gondola” e vi spiego il perchè. Veniva preso un pomodoro San Marzano - che quindi è un fiaschetto - e veniva diviso a metà creando dunque una gondola; veniva poi farcito di cozze, polpo, lumache di mare, seppie, seppioline nane e tante altre varietà di pesce.
Gregorio Maria Rocco, cappellano di corte nonché grillo parlante del re, però rimproverò Sua Maestà, spiegando che quel piatto alimentava il divario: all’epoca Napoli aveva davvero il ricco e il povero, come poteva il popolo mettere servire un piatto così ricco? Quindi bisognava creare qualcosa che fosse alla portata di tutti. Così “congelarono” la produzione di quel piatto e pensarono di rivolgersi ai pescatori ed agli ostricari di Santa Lucia (tant’è che ancora oggi il posto è famoso per le cozze). Eh sì, a Napoli c’era l’ostricaro, una figura tanto amata da Re Ferdinando che addirittura fu attestata da Palazzo Reale: prima i ristoranti si avvalevano di questa persona che godeva di un riconoscimento del re.
Un particolare dell'avanbraccio di Ivan raffigurante una cozza con accanto una vera cozza
Dunque, si dispose che gli ostricari raccogliessero le migliori cozze per creare un piatto destinato al giovedì santo del popolo. La pietanza prevedeva così la presenza di gallette (freselle dure di farina bianca): queste venivano bagnate nell’acqua di polpo (che non si buttava) e poi adagiate in una zuppiera, poi si aggiungevano al centro le cozze aperte al vapore (quindi al naturale) disposte a margheritone e si metteva il polpo ma una sola ranfa tagliata in modo che si presentasse a riccio e poi le “monacelle” ovvero le lumache (pescate favorevolmente in questo periodo). Insomma: un piatto replicabile e accessibile.
Per dare importanza al piatto - perché povero di grassi - si metteva un olio piccante che era fatto con due conserve bilanciate: quella di peperone dolce e quella di peperone piccante (che è la base della zuppa forte, ‘o soffritto, altro piatto fondamentale della nostra tradizione). Come si procedeva: le due conserve venivano messe in pentola con aglio, olio e peperoncino fino ad ebollizione ovvero quando saliva a galla l’olio che si formava. A questo punto si aggiungevano 3 o 4 cucchiai a finire il piatto.
QUESTA È LA VERA ZUPPA DI COZZE!
Fatta di questi soli 5 ingredienti: freselle gallette, cozze, polpo, lumache di mare e olio piccante.
Tutte quelle che si vedono oggi sono nuove versioni arricchite della zuppe di cozze, sono delle zuppe di pesce perché vedono l’apporto di gamberoni, vongole, fasolare, tartufo di mare, scampo sono stati messi i pomodorini e prezzemolo. Cose di pazzi.
Sono finte zuppe di pesce che se proprio vogliamo dirla tutta vogliono somigliare ad un altro piatto antico: il Pignatiello di Porta Capuana. Si tratta di una zuppa di pesce SENZA pesce a polpa, quindi solo crostacei e molluschi, con olive, capperi e pomodorini (con il sughetto bello stretto, intenso).
Non smetterò mai di ringraziare Re Ferdinandone perché ha lasciato una immensa eredità fatta di storia, di gusto e di sentimenti. Mi sono sempre così tanto fatto rapire da questo fascino che addirittura riuscii a vistare le cucine di Palazzo Reale, dove lavoravano i cuochi di corte: con mio immenso dispiacere mi ritrovai dinanzi ai soli ambienti, senza più alcuna struttura; le cucine sono state smembrate, devastate.
Quello che resta, stipato, sono scatole e scatole strapiene di oggetti meravigliosi: posate, piatti, tegami, zuppiere, salsiere, coperchi e una miriade di altre cose e mi sto ancora chiedendo perché il comune di Napoli non abbia ancora organizzato una mostra.
La ricetta di Ivan De Benedictis
ZUPPA DI COZZE
- Ingredienti x 4 persone
- 2 kg di cozze fresche con guscio
- 1,6 Kg di polpo crudo (cotto resta 1,2 kg circa)
- 600 gr di lumache di mare (munacelle)
- 12 freselle gallette (di farina bianca,ben biscottate)
- 400 gr di olio forte (‘O RUSS)
- 2 litri di acqua di cottura del polpo
‘O RUSS
- Ingredienti
- 500 gr olio di oliva
- 150 gr conserva di peperone forte
- 4 spicchi d’aglio
- 5 peperoncini interi
- Procedimento
- Far riscaldare l’olio con l’aglio ed il peperoncino; non appena l’aglio salirà a galla farlo cuocere ancora 5 minuti a fiamma moderata.
- Eliminare sia aglio che peperoncini, filtrando l’olio per poi attendere che si freddi.
- Solo quando l’olio sarà completamente freddo versate la conserva di peperone piccante e lasciate sobbollire il tutto mescolando delicatamente.
- Quando la temperatura raggiungerà i 150 gradi spegnere e lasciar raffreddare nuovamente.
- A questo punto si potrà dividere l’olio che sale in superficie dalla conserva ormai sfruttata.
- Conservare l’olio ricavato in bottiglie di vetro.
Ricettario Pasquale Extra:
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